Si tratta di una forma di co-housing piuttosto singolare, al momento un progetto unico nel nostro Paese che per gli ideatori, però, avrebbe di fronte a sé un mercato di notevole potenzialità…
Si tratta di una forma di co-housing piuttosto singolare, al momento un progetto unico nel nostro Paese che per gli ideatori, però, avrebbe di fronte a sé un mercato di notevole potenzialità. Un condominio riservato agli omosessuali, o meglio a persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e trasgender) dai 55 ai 75 anni. Senior ma autosufficienti, come specifica l’estratto, “un complesso residenziale di qualità medio alta, pensato appunto per senior LGBT autosufficienti che non richiedano specifiche cure ospedaliere, che propone un servizio di co-housing (locazione di alloggi privati corredato da spazi comuni, interni ed esterni) localizzato in un contesto urbano evoluto“.
I progettisti, professionisti, professori e studenti della Bologna Business School, la fondazione “compartecipata” con l’Alma Mater, che l’hanno messo a punto dopo quindici mesi di studio, hanno voluto chiamarlo Friendly Home, che tradotto significa “casa amichevole o anche casa degli affetti”. L’accoglienza è stata ottima, tanto che il progetto si è classificato al terzo posto alla XIV edizione del Master Executive MBA, riservato appunto ai nuovi scenari della progettazione.
Finita la fase ideativa, secondo le notizie apparse sulla stampa locale, si starebbe passando alla parte pratica, con la ricerca dei finanziatori. Che secondo i promotori non dovrebbero tardare a farsi avanti in quanto la residenza, che dovrebbe sorgere proprio a Bologna in un complesso con almeno una cinquantina di alloggi offrendo negli spazi comuni assistenza sanitaria e infermieristica, attività ricreative e culturali, risponde a un’esigenza molto sentita all’interno della comunità omosessuale.
In altra parole, secondo il “concept”, gli omosessuali anziani sarebbero maggiormente esposti alla solitudine – ma anche più vulnerabili e maggiormente esposti ai raggiri – dei coetanei etero, o perché senza figli o per via di legami familiari interrotti.
Ammesso che questo possa essere vero – anche se esistono i “single” anche tra gli etero e persone che si ritrovano vedovi e vedove senza aver avuto figli, senza considerare che la solitudine è una condizione che purtroppo si associa trasversalmente alla vecchiaia – non si capisce però perché gli anziani omosessuali o le anziane lesbiche dovrebbero desiderare di finire i loro giorni di autonomia in un condominio a loro riservato. Quasi condannandosi a una forma, per quanto snob, di auto segregazione.
Parliamo tanto di integrazione, condanniamo – giustamente – i condomini “riservati” agli stranieri e, in molti progetti di co-housing, cerchiamo di favorire l’innesto di famiglie giovani accanto ad alloggi strutturati per anziani. E poi accettiamo che venga ritenuta innovativa e socialmente utile una residenza per omosessuali e lesbiche? Che dovranno, evidentemente, dichiarare la loro inclinazione sessuale, alla faccia della privacy…
Ma tant’è, secondo lo studio della Bologna Business School in Italia ci sarebbero almeno 35.000 potenziali utenti per residenze di questo genere, e il progetto conterebbe su un mercato potenziale di 400 milioni di euro. Per questo i promotori sono fiduciosi. La residenza pilota si farà a Bologna, ma in tempi brevi il modello, già collaudato all’estero, potrebbe essere esportato, specialmente nelle grandi città.
Fonte www.famigliacristiana.it/Simonetta Pagnotti