Che proprio a Betlemme, la città dove è nato Gesù, il Natale venga celebrato in tono minore è un triste controsenso. Ma è la realtà. L’autorità palestinese infatti ha chiesto a tutta la Cisgiordania di cancellare le celebrazioni pubbliche del Natale, a causa delle violenze che da ottobre coinvolgono israeliani e palestinesi e che hanno portato alla morte di 147 persone, dopo che a ottobre è stata lanciata l’Intifada Al Aqsa per difendere la Spianata delle Moschee.
«NIENTE DA FESTEGGIARE». Betlemme ha dovuto adeguarsi, anche se non del tutto. I Tanzim, il braccio armato di Fatah, aveva chiesto: niente abete tradizionale sulla Piazza della mangiatoia, niente presepe, niente luci per le strade, niente fuochi d’artificio e niente concerto perché durante l’Intifada «non c’è niente da festeggiare». Grazie alla tenace opposizione di Vera Baboun, sindaco cristiano di Betlemme, città a stragrande maggioranza musulmana, non tutte queste misure saranno rispettate.
PROCESSIONE CONFERMATA. In effetti, il concerto di Natale del tenore Andrea Bocelli è stato cancellato, così come i fuochi d’artificio. Anche le luci che di solito addobbano le vie della città sono state limitate alle due strade principali. Confermati invece l’albero (nella foto, acceso il 5 dicembre), il presepe e la tradizionale processione del 24 dicembre, guidata dal patriarca latino Fouad Twal, che parte da Gerusalemme, attraversa il Muro costruito da Israele e arriva a Betlemme.
«IL NATALE È UN DOVERE». «Siamo in una situazione molto critica», dichiara il sindaco a Repubblica, «ma celebrare il Natale era un dovere di Betlemme». Anche per padre Jamal Khader, rettore del patriarcato latino, non si poteva mancare di celebrare il Natale. Ma il tono minore è giustificato: «Non possiamo dimenticare ciò che sta succedendo. Qui si sta perdendo la speranza in un futuro di pace». Eppure «la processione e le tradizioni sono importanti perché nonostante il Muro, queste due città, quella della nascita di Gesù e quella della sua morte e resurrezione, sono inseparabili».
IL VERO MIRACOLO. Al Washington Post, invece, Ekram Juha, direttore dell’ufficio del sindaco di Betlemme, protesta: «Sono deluso. Capisco se da qualche parte si limitano le celebrazioni, ma non qui a Betlemme. Se limiti qui il Natale, dove Gesù è nato, limiti qualcosa di spirituale e santo. E poi viviamo in una condizione di difficoltà da molti anni e le celebrazioni ci sono sempre state».
Il «vero miracolo», scrive ancora Repubblica, è che nonostante tutto «i cristiani decidano di rimanere a Betlemme» nonostante «le gang di ragazzetti islamici riempiono la comunità di angherie, minacce, piccole violenze».
BETLEMME SCRISTIANIZZATA. Nel 1948 a Betlemme l’85 per cento della popolazione era cristiana, oggi appena il 12 per cento. La causa di una tale diminuzione non è solamente l’emigrazione della popolazione dovuta alla situazione politica, a Israele e alla depressione economica. Anche perché la comunità musulmana non diminuisce affatto, anzi cresce. Come riportato da Tempi in un articolo dettagliato, i cristiani locali temono che «tra vent’anni non ci saremo più» a causa dei soprusi subiti a opera dei musulmani con il benestare dell’Autorità palestinese, che non fa niente per fermarli. Tra i soprusi spiccano la “land mafia”, un sistema malavitoso con connivenze nelle istituzioni tendente a sottrarre in modo violento la terra ai cristiani, i numerosi casi di stupro e abuso sessuale verso ragazzine cristiane, e la crescente islamizzazione della società palestinese, nella quale spesso i cristiani non vengono assunti da datori di lavoro musulmani e chi porta in pubblico la croce rischia il pestaggio.
Redazione Papaboys (Fonte www.tempi.it/Leone Grotti)