NORCIA – I monaci benedettini dal 30 marzo scorso hanno scelto di offrire una loro particolare preghiera per la liberazione dal coronavirus, ma anche dalle «carestie e dalle guerre».
Una invocazione particolare dei benedettini che hanno scelto di non abbandonare nonostante il sisma del 2016 il borgo medievale che diede i natali proprio al loro fondatore: San Benedetto.
La tradizione vuole infatti che dove sorgeva l’antico complesso monastico e la basilica sorgeva la casa di San Benedetto e Santa Scolastica (V secolo d.C.). Ricordiamo che a causa del sisma la Basilica di San Benedetto è quasi del tutto crollata, ma è rimasta miracolosamente in piedi l’abside e la sua facciata.
Una presenza quella di questi figli di san Benedetto, in questo angolo dell’Umbria, ai tempi del Covid-19 dal significato particolare: i monaci sono tornati qui circa 20 anni fa nel 2000 e grazie a questa intuizione è rifiorita la vita e la regola di San Benedetto che era scomparsa a Norcia a causa delle soppressioni degli Ordini religiosi nel 1810 da parte di Napoleone.
Dal 2016 infatti i monaci una quindicina – che hanno una media di età di 29 anni e sono in maggioranza statunitensi (tra loro anche un inglese, un canadese, un indonesiano e un brasiliano) – si sono attivati per la costruzione di un nuovo monastero di fronte agli imponenti monti Sibillini e distante una manciata di chilometri dal centro storico di Norcia.
Ma a raccontare il senso di questa particolare “preghiera per la liberazione “ è lo stesso priore lo statunitense padre Benedetto Nivakoff e l’ha fatto attraverso il blog del sito internet del monastero dove ha descritto anche la vita ordinaria ai tempi del Covid-19 per la sua comunità: quella di San Benedetto in Monte.
«La vita per i monaci di Norcia, ad oggi tutti sani, continua come al solito perché ogni mattina, durante la Messa conventuale abbiamo aggiunto preghiere contro la pestilenza. – è la testimonianza del religioso, originario di New York – Nel pomeriggio nelle nostre preghiere ci sono dottori e infermieri che si stanno sacrificando».
Una vita quella di questi monaci che continua nei difficili tempi del Covid-19 nel rispetto dell’ antica osservanza dell’ora et labora ma suggellata anche dalla produzione di una prestigiosa birra (venduta in tutto il mondo) e dal canto dell’ufficio divino in latino.
«Un cambiamento notevole per noi è stata la totale assenza di visitatori della cappella. Sebbene Norcia sia fuori dalle strade di grande comunicazione, siamo fortunati nel poter condividere spesso la nostra vita – l’Ufficio cantato e la Santa Messa – con i visitatori. – scrive ancora nel suo blog padre Benedetto – Le misure adottate dal Governo per il contenimento dell’epidemia precludono questa condivisione confinando ciascuno nella propria casa. Il nascondimento dal mondo assume, così, un simbolismo quasi sacramentale durante questa straordinaria crisi». Un flagello – secondo padre Nivakoff – che sta mettendo alla prova la «nostra vita monastica» come ai tempi del sisma del 2016.
«Ogni giorno diventa più chiaro che insieme soffriremo per qualche tempo delle conseguenze fisiche, economiche, psicologiche e spirituali del coronavirus. – è la riflessione finale ¬- Dovremmo essere disposti a imparare le lezioni che Dio vuole insegnarci. Pretendere che Dio restituisca ciò che abbiamo perso è una grande tentazione. Nella tragedia Dio immette semi di nuova vita. Dobbiamo innaffiarli con le nostre preghiere (sia visibili che invisibili), i nostri sacrifici e, forse, anche le nostre vite. La morte, però, non ha l’ultima parola»
Fonte avvenire.it
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