Non serve denunciare, colpevolizzare, accusare, tuonare! I genitori hanno bisogno di sentire parole di speranza, orientamenti educativi, suggerimenti per comprendere e discernere, ascoltare e incoraggiare, perdonare, consolare i propri figli, che vivono in un mondo non facile per loro, per tutti!
Anni fa, uscendo dal Centro per una delle prime esperienze di conferenze ai genitori, Nazario, un giovane con alle spalle 18 anni di vita in istituto, ha chiesto di accompagnarmi: «Sono curioso di sapere cosa dici loro!».
Quella sera, quasi per conquistarmelo, ho tuonato contro i papà e le mamme che lasciano soli i figli, che non trovano mai tempo per loro, un’ora e mezzo di tuoni e fulmini da lasciare choccato chi mi ascoltava. Tornando a casa, gli chiesi: «Che te ne pare? Come ho parlato?». Mi ha guardato male: «Non mi sei piaciuto per niente: quando parli a noi, ci inviti a capire i genitori, le loro storie, parlando loro, li hai solo bastonati. A cosa è servito?».
Non ho più dimenticato la lezione: non serve denunciare, colpevolizzare, accusare, tuonare! I genitori hanno bisogno di sentire parole di speranza, orientamenti educativi, suggerimenti per comprendere e discernere, ascoltare e incoraggiare, perdonare, consolare i propri figli, che vivono in un mondo non facile per loro, per tutti!
Così, la settimana dopo, in un’altra conferenza ai genitori, mi sono introdotto incoraggiandoli. Mi pare di averli mandati a casa contenti di essere genitori, famiglia che educa. Ho poi seguito questa linea di ottimismo sereno, pur trattando argomenti a volte spinosi per gli adulti che ascoltavano e per i loro figli.
Purtroppo a questi incontri mancano quasi sempre i genitori che sono maggiormente in difficoltà: per vergogna del confronto con le altre famiglie, per non essere messi in crisi o al margine da chi non ama frequentare o essere frequentati da famiglie disastrate, chiacchierate, di dubbia fama. Quando riesci ad incontrarle, evitando di giudicarle, le trovi assetate di speranza, con tanti sensi di colpa, ma anche un vivo desiderio di essere aiutate.
Il riconoscere di avere sbagliato le mette in condizione di dialogare con i figli, rese più umili e attente a quel che dicono: «Figlio mio, dove ho sbagliato, perché tu abbia a cercare nella droga quella gioia che dovresti trovare in casa tua?», «Hai ragione: cosa posso fare per riacquistare la tua fiducia?».
Esemplare la storia di un padre pluriomicida che, dopo aver letto un libro sul prete dei «barabitt», don Francesco Della Torre, chiede a Salvatore, che gliel’ha regalato, di telefonare al proprio figlio. Dopo vent’anni trascorsi in carcere, vuole domandargli perdono e, grazie alla mediazione di Salvatore, l’ottiene!
È importante l’umiltà per educare, per non sentire i propri figli nemici da dominare e da sconfiggere! E si educa, «ragionando e persuadendo»: il dialogo sarà tanto più efficace quanto più si è guadagnato il cuore dei figli con l’affetto sincero, fedele. Non serve scattare, innervosirsi, rompere con frasi e atteggiamenti che loro non comprendono, soprattutto se sosteniamo di voler loro bene!
Spesso è la stanchezza che ci gioca brutti scherzi, rendendoci impazienti, irritabili. È consigliabile in questi casi, imparare a distendersi e scaricare le tensioni accumulate nel lavoro quotidiano, dormendo a sufficienza, mangiando con tranquillità, senza prendersela troppo, con qualche bella risata, che allunga la vita e fa buon sangue.
Don Bosco e la sua mamma Margherita erano di questa pasta con i «discoli» che frequentavano l’oratorio, davvero una coppia insolita di padre e di madre, che hanno formato a Valdocco una generazione di educatori ragionevoli, credenti, capaci di rapporti di cuore, senza dimenticare i riferimenti normativi!
L’amore non è antitetico alla norma: la norma non temperata dall’affetto rischia di diventare legge inflessibile, severa, intransigente, ma anche l’affetto senza norma rischia di produrre danni, lasciando i ragazzi in balia dei loro sentimenti ed emozioni non sempre razionali. Educare in coppia dà maggiore sicurezza agli interventi, commisurando in modo equilibrato affetti e norme, responsabilità proprie e dei ragazzi.
È opportuno non essere soli ad educare! Da anni esistono esperienze di famiglie che si incontrano per affrontare insieme i problemi comuni dell’educare e formare religiosamente i figli, superando più facilmente momenti di incertezza e di dubbio, di scoramento e pessimismo! Parlando insieme senza paura, aiuta quanto una seduta dallo psicologo o la conferenza di un esperto. A loro si ricorra quando il problema non è di facile risoluzione e l’intervento delle scienze umane può essere di aiuto.
Riflessione di Don Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano