C’è un media nazionale che cita un’omelia di Papa Francesco su Santa Luisa di Marillac, suora sconosciuta ai più e beatificata nel 1920. Non è l’Osservatore Romano, non è Avvenire, non è Famiglia Cristiana e non è scritta da un noto vaticanista.
È Repubblica di oggi, sezione cultura, firma Eugenio Scalfari. Oltretutto lì, dopo questo incipit, il fondatore di Repubblica non parlerà della suora beatificata – anche se qualcosa narra – ma dello Spirito Santo. Lo fa da non credente dicendo che l’idea di Dio che partorisce la nostra mente morirà con noi, ma io non voglio parlare di ciò che un non credente dice o non dice di Dio, ma del fatto che lui parla con noi dello Spirito Santo. E così parla di Dio, di uomini, di relazioni, di vita, di comunione, di essere abitati, di consapevolezza di sé, di necessità dell’altro.
Ne parla dalla sezione cultura e, poiché la cultura non è ciò che sappiamo ma ciò che siamo grazie a quello che sappiamo, ne esce quello che Eugenio Scalfari sta diventano da quando Bergoglio è Papa cioè da quando Jorge Mario ed Eugenio sono amici. Perché la parola è questa: amicizia. Che non è spingere a convertire, a cambiare, ma camminare insieme verso una meta comune che è quella di costruire il bene che ciascuno trova nel proprio cuore. “Fai il bene, non fare il male” è qualcosa che ciascuno può e deve fare, anche se è ateo.
Se mi fosse capitato di parlare con calma, al tavolo di un bar, con Scalfari, se mi fossi trovato a parlare di Spirito Santo con un signore intelligente e di cultura, ateo, che mi racconta di aver ascoltato Papa Francesco e la sua omelia e mi riferisse l’ idea che si è fatto, da ateo, dello Spirito Santo aggiungendo che ritiene quell’acquisizione culturale – quella dello Spirito Santo – fondamentale per ogni essere umano, io mi sarei spiritualmente leccato i baffi, io “mi sarei goduto”. Tornando a casa, avrei parlato della chiacchierata interessante che avevo fatto con un signore di una certa età, ateo e pieno di rispetto per il Papa e con profonde intuizioni sullo Spirito Santo. Invece al bar trovo un amico che borbotta con Repubblica in mano e trova l’articolo “confuso”, “inesatto”; anzi, materialmente “eretico”. È lo stesso che mi chiede ciclicamente di raccontargli come funzionano Facebook e Twitter, perché così può subito dopo spiegarmi che sono inutili perdite di tempo dannose, relazioni virtuali che sottraggono tempo importante a quelle reali. Sotto sotto – è il non detto – la colpa della “confusione” dell’articolo, della “mancanza di chiarezza”, del scendere “a patti col nemico” è di Papa Francesco che fin da subito permise a Scalfari di intervistarlo riportando poi le sue parole (quelle del Papa) a memoria, e non pretese (il sommo pontefice) che venissero registrate e trascritte correttamente. Io sono sgomento, io allibisco, io non mi capacito. Forse la ragione della stizza del mio amico risiede nell’innata resistenza al cambiamento che ciascuno di noi sente. Mi torna in mente chi pensava che per impedire lo sviluppo del “telettrofono” di Antonio Meucci (l’antesignano del telefono) bastasse avere poste efficienti. Se il Papa sa essere amico e questi sono i risultati, perché non gioire invece di scandalizzarsi?
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da FaroDiRoma