Lo stabilisce un decreto firmato dall’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, che concede la facoltà della remissione a tutti i sacerdoti (sia diocesani o extradiocesani, sia membri di istituti di vita consacrata o di società di vita apostolica, che siano regolarmente abilitati a ricevere le confessioni dei fedeli) per l’intero territorio dell’arcidiocesi di Torino.
La decisione è stata presa in considerazione del fatto che “nel periodo della ormai prossima Ostensione della Santa Sindone affluiranno nella città di Torino e nell’intero territorio dell’Arcidiocesi moltitudini di fedeli e che questo evento è un tempo di grazia che potrà tradursi in atteggiamenti di conversione, frutti di penitenza e di novità di vita fino a risvegliare molte coscienze”, si legge nel decreto.
La facoltà dell’assoluzione dalla scomunica derivante dall’aborto procurato, senza l’onere del ricorso entro un mese al Superiore competente o un sacerdote provvisto delle facoltà e di attenersi alle sue decisioni è un segno della “misericordia del Padre nei confronti di chi è pentito di un delitto commesso, senza peraltro sminuire il vigore della legge che impone l’obbligo del ricorso a chi è stato assolto, perché gli era gravoso rimanere in stato di peccato grave”.
Nel decreto, l’arcivescovo di Torino raccomanda ai sacerdoti delegati di “anzitutto consolare chi è angosciato ricordando che, qualunque cosa il cuore rimproveri, Dio è più grande del cuore dell’uomo e conosce ogni cosa”.
Dopo aver “istruito i penitenti circa la gravità di questo peccato”, i confessori dovranno verificare se “sono realmente incorsi nella censura” e, nel caso, imporre “penitenze sacramentali tali da favorire il più possibile una stabile conversione”.
A titolo di esempio, monsignor Nosiglia suggerisce “implorare l’indispensabile aiuto di Dio con qualche impegno di preghiera, quale potrebbe essere la partecipazione alla Messa – oltre che festiva – anche in un giorno feriale per un periodo di tempo da determinarsi volta per volta, secondo le concrete possibilità del penitente”.
Il presule propone infine il sostegno a un “centro di accoglienza alla vita”, oppure “opere che mirano al bene dei piccoli, senza escludere all’occorrenza di offrire – a quanti fossero intenzionati a ricorrere all’aborto – sia il consiglio retto per affrontare una maternità non desiderata sia anche, quando possibile, l’aiuto materiale”.
In tal modo “non si intende escludere che la soddisfazione possa limitarsi alla preghiera, ma piuttosto sottolineare che l’indirizzo della Chiesa è per una penitenza più direttamente correttiva del disordine compiuto e quindi costruttiva del bene corrispondente”.
Di Luca Marcolivio per Zenit
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Dei pagliacci, una volta, idearono una legge in base alla quale, una volta dato in adozione un bambino che in quel momento non vuoi, non lo rivedrai mai più.
Devi farti bastare il fatto che stia bene e sia felice.
E se negli anni la condizione di quella donna migliora, e lo rivuole con sé? Niente, avrà dinanzi soltanto la solitudine e forse la pazzia dinanzi ad una porta che si chiude per sempre.
Inutile poi fare finta di sdegnarsi se molte di queste donne, dinanzi ad una prospettiva del genere, preferiscono rispedire il bimbo da dove è venuto.
Se i pagliacci che elaborarono questa legge sull'adozione in questo specifico caso, avessero previsto che venissero aiutati madre e figlio in modo che fosse LEI a poterlo crescere, sono convinta che mancherebbero all'appello milioni di aborti !!!!!
E' cretino continuare a ripetere alle donne "eh, ma se non lo vuoi puoi sempre lasciarlo in ospedale ed andartene...".
Si certo, auguri. E poi? Se sto meglio? Se mi riprendo e voglio stare con mio figlio?
Per me le donne che abortiscono, in molti casi, non sono colpevoli. Non - è - colpa - loro. PUNTO !!!!!!!