Tra le donne sostenute dalla Comunità Papa Giovanni XXIII per evitare l’aborto, poco più del 50% sono straniere. La metà dall’Africa (il 27% dalla Nigeria), il 35% dell’Europa dell’Est, l’8% dall’America Latina e il 4% dall’Asia. Diverse le strade che hanno portato queste donne a bussare alla porta dell’associazione: canali informali come la conoscenza diretta (28%), indirizzate da altre associazioni (41%), le chiamate al numero verde per la maternità difficile (19%) e l’invio dai consultori (5%).
Ecco alcune delle loro storie.
Joy è raggiante di felicità. Tutti i problemi di prima sono passati in secondo piano rispetto alla gioia di avere due bambine, finalmente una famiglia tutta sua. Certo non sono scomparse le preoccupazioni che l’avevano portata al consultorio per chiedere l’aborto. Ma ha trovato la Comunità Papa Giovanni XXIII. «Il problema principale», dice la volontaria che l’ha affiancata, «era la solitudine e il fatto che nessuno credeva in lei
. Quella che tanti oggi chiamano “autodeterminazione” della donna, nella realtà corrisponde a “solitudine, indifferenza della società, abbandono delle istituzioni”».Era il novembre 2014 quando Joy ha scoperto di essere incinta di due gemelli alla decima settimana.Nigeriana, orfana e senza parenti in Italia, ha un processo in corso e ha già scontato una pena in carcere. Può essere che a breve debba ritornarci. All’uscita della prigione era stata ospitata da amici, che alla notizia della gravidanza le hanno intimato di trovare un’altra sistemazione. In queste condizioni oggi la società ha una sola risposta: “Non puoi portare avanti una gravidanza”, è la prima risposta del consultorio. “Se lo fai sei incosciente e irresponsabile, la cosa più giusta per te è abortire. Farai poi un altro figlio quando ci saranno le condizioni”.
Ma poi al servizio pubblico romagnolo qualcuno si accorge che il suo desiderio ultimo è quello di avere il bambino. Il consultorio contatta la Comunità Papa Giovanni e da quel punto Joy smette di avere paura. La strada non è stata facile: le sue bimbe sono nate premature e sono state ricoverate per alcuni mesi in ospedale, ma lei sa che non è più sola.
Meno positivo è stato invece il ruolo dei servizi quando Maria ha saputo di essere incinta del quinto figlio. «Quando l’ho scoperto», racconta, «ho avuto molta paura di non farcela, tutti quelli a cui ho confidato la notizia non mi hanno di certo incoraggiata. I miei genitori hanno rimarcato la nostra precarietà economica e lo sfratto esecutivo a breve termine; mio marito, disoccupato già da un anno, ragionava solo dal punto di vista razionale, non mi sosteneva e scaricava su di me la decisione. Anche la ginecologa mi spaventò avendo io avuto, nella precedente gravidanza, problemi seri di vene varicose».
Maria decide allora di andare dall’assistente sociale per sentire se c’erano aiuti economici: «La sua prima reazione è stata di disappunto, infastidita si premurò di informarmi che, in caso avessi portato avanti la gravidanza, avrei perso la borsa lavoro appena ottenuta dal Comune». Il sindaco del piccolo paese in cui vive la minaccia addirittura di toglierle i bambini.
«Stavo malissimo», ricorda Maria. «Cercavo di soffocare il desiderio di accogliere comunque questo figlio. Affidandomi al Signore, dopo tanti dubbi, conflitti, paure, angosce e molte notti insonni, ho trovato il coraggio di non sopprimere quella vita che già sentivo crescere dentro di me». La speciale vicinanza e l’aiuto concreto della Comunità Papa Giovanni hanno fatto sì che oggi Marco abbia 11 mesi e giochi felice con suoi fratelli.
«Sono una banda straordinaria», si commuove la mamma, «e quando lo guardo mi capita spesso di pensare al rischio che ha corso di non essere al mondo. E mi chiedo: come starei oggi? La gioia di avere una famiglia così bella mi dà il coraggio di bussare a tutte le porte per chiedere aiuto». Maria è infatti ancora in grosse difficoltà economiche, il marito non ha ancora un posto fisso. «Per la casa», aggiunge, «non abbiamo nessuna agevolazione; il Comune dove abitavamo prima, per liberarsi di una famiglia numerosa come la nostra, ci ha pagato la cauzione per un appartamento in un altro paese per incentivarci ad andarcene».
Per aver detto sì alla vita, Lucia, 16 anni, è stata invece buttata fuori di casa. Quando ha scoperto di essere incinta di otto settimane, fissa l’appuntamento per abortire. In quel momento vive sola con la madre, che le fa pressioni e minacce di ogni tipo pur di convincerla a non proseguire la gravidanza. La decisione è supportata anche dai genitori del fidanzato, Marco, anche loro in difficoltà economica.
“Non c’è altra scelta”, dicono alla giovane coppia. Una parente di Marco decide però di segnalare la situazione alla Comunità Papa Giovanni. «Dopo alcuni colloqui telefonici», racconta la volontaria che li ha seguiti, «abbiamo incontrato i due ragazzi insieme alla madre di Marco.È bastato davvero poco perché tutti e tre si aprissero, chi al sorriso, chi alle lacrime, dimostrando tutta la sofferenza che stavano portando nel loro cuore. Poco dopo è arrivato il papà del ragazzo, ha cercato di fare un po’ la voce grossa ma poi ha abbassato le difese e ha iniziato a parlare di come riorganizzare gli spazi perché i due ragazzi potessero andare a vivere da loro». La sera stessa però Lucia viene cacciata di casa dalla madre.
«L’hanno accolta i genitori di Marco», continua la volontaria, «ai quali abbiamo dato subito sostegno legale, trattandosi di minorenne. Fra alcuni mesi nascerà un bel maschietto e noi stiamo già mettendo da parte il necessario per quando sarà nato». Insieme ai mobili per la cameretta, a casa è già arrivata la culla. Una nonna vicina alla Comunità ha recuperato quella usata dai figli e dai nipotini, l’ha rimessa in perfetto ordine e ha cucito un materassino nuovo di zecca per regalarlo a Lucia.
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