Aboliti i vitalizi ai condannati

Gli uffici di presidenza di Camera e Senato hanno approvato con una loro delibera la sospensione dell’erogazione dei vitalizi agli ex parlamentari condannati in via definitiva a pene superiori ai 2 anni. È il via libera in rapida sequenza – prima a Montecitorio, poi, nel pomeriggio, con qualche problema in più, anche a Palazzo Madama – alla proposta congiunta dei presidenti dei due rami del Parlamento, che infatti sono i primi a felicitarsi per la decisione presa e parlano di un «forte segnale di moralizzazione».

Anche stavolta però il segnale non è univoco e, pur nella condivisione da parte di tutti dell’obiettivo, fra chi non ha votato il provvedimento c’è chi lo ritiene inadeguato nel contenuto, e chi ne pronostica l’inefficacia. Alla Camera votano a favore Pd, Sc, Sel e Lega (anche se il Carroccio considera la proposta blanda, e ha avanzato una sua proposta di legge). Non partecipano al voto M5S (che parla di «farsa»), Fi e Area popolare. Diversa la geografia del voto a Palazzo Madama: il testo passa con 8 voti favorevoli (Pd, Lega e Sel), due contrari (M5S e Gal,) e un astenuto (Svp). Il senatore-questore di Area popolare, Antonio De Poli, pur presente, non partecipa al voto. I 4 esponenti di Forza Italia escono prima del voto.

Il testo Grasso-Boldrini dispone la sospensione del vitalizio all’ex parlamentare che abbia riportato, «anche con patteggiamento» condanne definitive a pene superiori a 2 anni per reati di mafia e terrorismo o per reati contro la pubblica amministrazione come peculato e concussione, con l’esclusione dell’abuso d’ufficio. In ogni caso i 2 anni di condanna fanno scattare la sospensione per i reati più gravi che prevedano un massimo edittale di almeno 6 anni. Ma nel mirino di M5S finiscono altre previsioni. Una prima relativa alla reversibilità.

La sospensione infatti non si applica ai familiari superstiti, «laddove il deputato, cessato il mandato, sia deceduto in data anteriore all’entrata in vigore della delibera». Ma è soprattutto un’altra norma a suscitare polemiche, quella che dispone che la sospensione non scatti «qualora sia intervenuta la riabilitazione». Una volta riabilitato (con la cancellazione della condanna dalla fedina penale) al parlamentare verrà ripristinato il vitalizio. La richiesta potrà essere effettuata, una volta scontata la pena. dopo tre anni per i reati minori, e dopo 10 per i reati più gravi.

foto ANSA: Chi rischia di perdere il vitalizio: da sinistra in alto Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, Cesare Previti, Paolo Cirino Pomicino, Gianni De Michelis, Toni Negri, Arnaldo Forlani, Giuseppe Ciarrapico

«Non partecipiamo al voto. Questa porcata se la votano da soli», sbottava il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio all’atto di abbandonare i lavori dell’ufficio di presidenza di Montecitorio. Poi, nel pomeriggio M5S provava ad aprire una trattativa al Senato con Grasso. Lo stesso Di Maio insieme agli altri componenti del direttorio di M5S in un incontro con il presidente del Senato avanzava 4 proposte di modifica: l’abbassamento del massimo edittale da 6 a 4 anni (includendo così un maggior numero di reati), l’inclusione dell’abuso d’ufficio, e il no a reversibililtà riabilitazione. Ma il testo – nell’intesa raggiunta fra i vertici dei due rami del Parlamento – non poteva che essere approvato in versione identica. Così, dopo un primo tentativo a vuoto, la seduta del Consiglio di presidenza del Senato dava il secondo via libera, e M5S passava dal non voto al voto contrario.

Di tutt’altro tenore le obiezioni di Forza Italia e Area Popolare. «La delibera rischia di essere un boomerang clamoroso per Parlamento e cittadini», recitava una nota degli azzurri dopo il voto dell’Ufficio di Presidenza della Camera. «Ci vuole una legge, così si rischia una bocciatura della Corte costituzionale e il Parlamento dovrà restituire al parlamentare condannato le somme non versate e con gli interessi», avvertiva Fi. Cosicché nel pomeriggio al Senato – dove anche il capogruppo di Ap Renato Schifani si era espresso a favore di una legge -i senatori azzurri sceglievano di uscire al momento del voto.

Di Angelo Picariello per Avvenire

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