Abortire è un diritto, fare obiezione di coscienza no. È questa, nella sostanza, l’assurda sintesi che si deve trarre dopo che il Consiglio d’Europa ha accolto il reclamo presentato dalla Ong International Planned Parenthood Federation European Network (Ippf) che accusava il nostro paese, a causa dell’alto numero di obiettori, di non garantire il rispetto della legge 194 sull’interruzione di gravidanza. Il Consiglio d’Europa, con 13 voti favorevoli e un solo contrario, ha quindi richiamato il nostro paese perché “l’obiezione di coscienza non può impedire la corretta applicazione della norma”. Concetto interessante, oltre che liberticida. E ora che accadrà, si obbligheranno i medici obiettori a far abortire le donne? Oppure si premerà per l’estensione della Ru486, la pillola abortiva “fai da te”, così da lavarsi pilatescamente le mani? A presentare il ricorso in Europa è stato un network di sigle, capeggiato dalla Laiga e assistito da un punto di vista legale dagli avvocati Benedetta Liberali e Marilisa D’Amico (già in corsa per il Pd alle ultime elezioni al Senato, poi consigliere comunale nella giunta Pisapia da cui si è da poco dimessa). È proprio quest’ultima ad aver spiegato che gli obiettori in Italia sono ormai il 70 per cento, se non di più. Poi, bontà sua, ha anche aggiunto: «Nessuno di noi vuole mettere in discussione il diritto a non praticare l’aborto, ma la legge 194/78 parla chiaro: indipendentemente dalle dichiarazioni di obiezione di coscienza, ogni struttura deve sempre garantire la possibilità di interrompere la gravidanza».
I numeri e le opinioni della D’Amico sono però oggi stati contestati da Paola Ricci Sindoni, presidente dell’Associazione “Scienza e Vita”, che è intervenuta a Radio Vaticana. «C’è una sorta di accanimento contro quello che è un diritto: il diritto dell’obiezione di coscienza», ha spiegato Sindoni. «In fondo, è vero che secondo gli orizzonti della Legge 194 la donna ha diritto ad abortire, ma qui c’è un conflitto e anche una compresenza di diversi diritti. Mi pare che in Europa ci sia una visione antropologica che assolutizza certi diritti piuttosto che altri. Credo che questa, da un punto di vista giuridico, sia una malformazione, cioè una cattiva formazione del valore del diritto che è ugnale per tutti i cittadini. L’obiettore non è quello che non ha voglia di lavorare – come viene percepito da un certo senso comune – ma è una persona che vuole aderire a dei principi personali – quindi ai principi della propria coscienza – che vanno rispettati, così come vanno rispettati gli altri diritti». Secondo Sindoni, inoltre, i numeri forniti per presentare il reclamo in Europa sarebbero esagerati. «Quando partecipo ai convegni, i competenti in materia dicono chiaramente che sono delle percentuali molto al di sopra della realtà. Ora, temo – ahimè – che spesso per sostenere la propria visione del mondo, il proprio modello culturale si tenda un po’ ad enfatizzare queste cifre». a cura di Giovanni Profeta