In un articolo di qualche tempo fa pubblicato da Sarah Terzo per LiveAction, è raccontata l’agghiacciante realtà delle cliniche abortive nei civilissimi Stati Uniti d’America.
Sotto gli occhi delle infermiere, un medico abortista si trova a confrontarsi con un’operazione “mal riuscita” su una donna al quinto mese di gravidanza.
Ma al quinto mese di gravidanza, un bambino nella pancia della mamma – sì, sei e rimarrai per sempre una mamma, anche se non lo vuoi – è già tutto formato, ha già sviluppato il senso del gusto e dell’udito.
E, se nasce al quinto mese, il bambino respira, prova dolore e piange (e se stai bene attento ti guarda mentre leggi questa frasetta e ti dice “perché, tu no invece?”)
Qui di seguito l’articolo in traduzione.
Talvolta, i bambini abortiti nascono, accidentalmente, vivi. È allora che il medico abortista si trova ad affrontare una situazione alquanto scomoda. Il bambino dovrebbe essere morto, la madre lo paga appunto per questo. Non stupisce il fatto che tanti bambini, aggrappatisi alla vita tanto da superare un aborto brutale, finiscano per morire poco dopo la nascita, sia per trascuratezza e abbandono, che per mezzo di deliberati atti di violenza.
Una dottoressa, europea, ha presentato un aneddoto agghiacciante a tale proposito. Afferma di avere sentito per caso un dottore che dava istruzioni su come uccidere un bambino nel caso in cui il piccolo fosse sopravvissuto all’aborto. L’incidente si è verificato quando lei era ancora una studentessa di medicina. In un documento (Late Term Abortion & Neonatal Infanticide in Europe: Petition for the Rights of Newborns Surviving Their Abortion” reperibile qui in forma integrale) la Dott.ssa D.F. dà la seguente testimonianza.
Al turno in sala parto, c’era una donna in travaglio, come parte di un aborto per motivi di salute, al quinto mese di gravidanza. Il parto era imminente e gli specializzandi in ginecologia erano pronti. La ginecologa titolare di turno, che sta per tornare a letto, si rivolge agli specializzandi dicendo a bassa voce, ma abbastanza forte per me da poterlo sentire: “Se il bambino in uscita respira, basta premere forte qui, sulla trachea [via aerea] finché non cessa completamente il respiro”, poi rivolta a me: “E tu, tu non hai sentito niente.”
A cinque mesi, il bambino nella pancia della mamma è già interamente formato. Il piccolo lui, o la piccola lei, può sentire i cambiamenti nel gusto del liquido amniotico e può sobbalzare al rumore di suoni forti e improvvisi. A questo stadio, il bambino sente anche dolore– compreso quello di essere strangolato a morte una volta nato.
Non si è a conoscenza di quanti bambini siano effettivamente nati vivi nelle cliniche abortive e poi uccisi per strangolamento.
In caso steste pensando che non potrebbe accadere una cosa del genere negli Stati Uniti, vi prego, ripensateci. Qui di seguito riportiamo un caso ben documentato di un medico abortista che ha strangolato a morte un bambino nato vivo dopo un aborto.
Nel marzo 1977, una bambina era nata viva dopo un aborto al Westminster Community Hospital. Il medico abortista, Dott. William Bawter Waddill aveva iniettato la soluzione salina nel ventre della paziente che si sottoponeva all’aborto, per uccidere il bambino; quindi indusse il parto. La bambina avrebbe dovuto nascere morta. Ma a sette mesi, la bambina sopravvisse in qualche modo all’iniezione.
Waddill non era in clinica quando la bimba venne alla luce. Quando le infermiere sentirono la bambina, che era stata gettata in un cestino, iniziare a piangere, non ebbero la ben che minima idea di cosa fare. Chiamarono il loro supervisore, che chiamò a casa Waddilll.
Quando Waddill arrivò, strangolò la bambina a morte. I testimoni lo udirono esclamare, in un eccesso di frustrazione, “Questa bambina non la vuole proprio smettere di respirare!”
Quando l’uccisione della bambina venne a galla, Waddill finì in tribunale e di fronte a una giuria. Dopo due processi nulli, il giudice fece cadere ogni accusa. Waddill uscì dal tribunale da uomo libero e tornò a praticare aborti. Non si sa se abbia strangolato altri bambini inosservato e indisturbato nella sua clinica, ma non è più stato accusato.
È inammissibile che un dottore abbia potuto uccidere un neonato al settimo mese, davanti a dei testimoni, senza essere punito. Con il caso Kermit Gosnell e le testimonianze degli impiegati del centro abortivo che lavoravano per Douglas Karpen, in Texas, sappiamo che simili omicidi si sono verificati molte volte dal 1977; e molti in anni recenti.
A meno che i testimoni non si facciano avanti, il pubblico ministero non sporga denuncia e i giudici non condannino, abbiamo ragione di credere che l’omicidio dei bambini nati vivi nelle cliniche abortive continuerà ad essere praticato.
Articolo in lingua originale al link: https://www.liveaction.org/news/abortionist-tells-interns-to-strangle-a-child-born-alive-after-abortion/
Traduzione di Sara Del Vecchio
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