Categorie: Pax et Justitia

Accordi con l’Arabia Saudita per aprire la prima Chiesa

L’Arabia Saudita accetta di aprire la prima chiesa cristiana nel Paese dove è vietato manifestare in pubblico una fede diversa dall’islam. Secondo il quotidiano egiziano Mcn Direct, il patriarca copto ortodosso Tawadros II ha firmato ieri un accordo con  Ahmed Kattan, ambasciatore saudita al Cairo, per la costruzione di un edificio di culto. Di ritorno dalla visita all’ambasciata Saudita, Tawadros ha affermato che la monarchia islamica è pronta ad aprire relazioni con la chiesa copta ortodossa, i cui fedeli rappresentano la prima comunità non islamica dell’Arabia Saudita. Nella monarchia saudita il culto cristiano è proibito per legge ed è vietata qualsiasi manifestazione pubblica di fede. La polizia religiosa ha il compito di reprimere le celebrazioni clandestine. Il governo vieta ai sacerdoti l’ingresso nel Paese e considera la conversione al cristianesimo è un reato.

Nell’ottobre 2003 due cristiani egiziani sono stati arrestati e incarcerati dalla Muttawa (la polizia religiosa saudita); sono poi stati rilasciati il mese successivo. Nel febbraio 2003 un cristiano straniero, di cui si ignora la nazionalità, è stato espulso per aver dato una bibbia in lingua araba a un cittadino saudita: agli stranieri è consentito infatti possedere libri religiosi nelle proprie lingue, ma il possesso di bibbie in arabo viene considerato un atto di proselitismo e quindi illegale, punibile con il carcere. Sempre nel corso del 2003, un cristiano etiope è stato espulso dal paese perché si rifiutava di offrire informazioni sulle proprie convinzioni religiose nel corso di un’indagine pubblica. All’inizio del 2003 quattro cristiani pakistani sono stati arrestati senza specificazioni dalla Muttawa. Due sono stati rilasciati ed espulsi, ma degli altri due non si sono più avute notizie. Nel maggio 2002 la polizia di Jeddah ha arrestato 10 cristiani eritrei ed etiopi che si riunivano di venerdì per il loro incontro settimanale, in concomitanza con la giornata festiva del paese musulmano. Al momento dell’arresto la polizia ha cercato di ingannare i cristiani promettendo loro alcool e bevande, volendo avere un pretesto legale (il divieto di alcolici) per incriminare i 10 fedeli.

Diritti umani. La situazione dei diritti umani in Arabia Saudita è considerata generalmente lontana dagli standard occidentali. Sotto il comando autoritario della Dinastia Saudita è stata fatta rispettare rigorosamente la legge della dottrina wahabita (un’interpretazione fondamentalista del Corano). Molte libertà fondamentali messe nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non esistono; la pena di morte ed altre pene sono state applicate spesso senza un regolare processo. Inoltre l’Arabia Saudita è entrata nel mirino per l’oppressione delle minoranze religiose e politiche, per la tortura dei prigionieri e per l’atteggiamento verso gli stranieri, le donne e gli omosessuali. Nonostante le maggiori organizzazioni internazionali esprimano ripetutamente preoccupazioni per la condizione dei diritti umani in Arabia Saudita, il regno nega che tali violazioni avvengano.

Punizione capitale e pene corporali. L’Arabia Saudita è uno di quegli stati in cui le corti continuano a imporre punizioni corporali, inclusa l’amputazione delle mani e dei piedi per i ladri e la fustigazione per alcuni crimini come la “cattiva condotta sessuale” e l’ubriachezza. Il numero di frustate non è chiaramente previsto dalla legge e varia a discrezione del giudice, da alcune dozzine a parecchie migliaia, inflitte generalmente lungo un periodo di settimane o di mesi. La persona che dà le frustate deve tenere un Corano sotto l’ascella del braccio con cui utilizza la frusta, in modo da limitare la potenza del colpo. L’Arabia Saudita è anche uno dei paesi in cui si applica la pena di morte, incluse le esecuzioni pubbliche effettuate tramite decapitazione. Alcune persone sono giustiziate in prigione tramite fucilazione. Ci sono state notizie di effettuate lapidazioni e crocifissioni.

Nel 1997, Human Rights Watch ha esaminato il caso di Abd al-Karim Mara i al-Naqshabandi, che è stato giustiziato dopo la condanna per stregoneria contro il suo datore di lavoro. L’organizzazione ha concluso che il sistema legislativo saudita “non riesce a dare le garanzie minime nei processi e dà la possibilità a individui potenti di maneggiare il sistema a loro vantaggio”. Nel 2002 il Comitato delle Nazioni Unite contro la Tortura ha criticato l’Arabia Saudita per le amputazioni e le fustigazioni che effettua per la sua interpretazione del Corano. La delegazione saudita ha risposto che si difende la “tradizione legale” tenuta fin dall’inizio dell’Islam, 1400 anni fa, e ha rifiutato l’interferenza nel sistema legislativo.

Libertà religiosa. L’Arabia Saudita proibisce il lavoro dei missionari di tutte le religioni tranne che dell’Islam. Ufficialmente tutte le religioni tranne l’Islam sono vietate e le chiese proibite (tranne l’apertura di questi giorni con l’accordo della costruzione di una Chiesa così come è stato detto all’inizio). Non ufficialmente il governo permette che gli operai stranieri siano cristiani. I cristiani stranieri possano praticare il culto nelle loro case o persino in posti riservati nelle scuole locali, a condizione che non si parli di ciò in pubblico. Questo è un grado di tolleranza ufficiosa che non è dato all’ebraismo o all’ateismo. In teoria, il governo può cercare nelle case di chiunque e arrestare o deportare i lavoratori stranieri che possiedono icone o simboli religiosi, tipo la Bibbia o il rosario. La politica più comune per i cristiani stranieri è simile alla vecchia politica delle forze armate degli Stati Uniti per gli omosessuali (Non chiedere, non dire). Il governo tollera la presenza degli operai cristiani finché rimane discreta e occulta. “La libertà religiosa non esiste”, ha dichiarato il Dipartimento di Stato degli USA nel rapporto 1997 sui diritti umani nell’Arabia Saudita. “L’Islam è la religione ufficiale e tutti i cittadini devono essere musulmani. Il governo proibisce la pratica pubblica di altre religioni”. “È assurdo imporre a un individuo o a una società straniera la propria religione o i propri principi,” ha dichiarato il 6 settembre a New York il Principe Ereditario Abdullah bin Abdul Aziz all’U.N. Third Millennium. Gli stranieri in pubblico devono essere conformi alle pratiche locali (comunque la preghiera 5 volte al giorno o le pratiche musulmane non sono obbligatorie). Il vestito conservatore è previsto, specialmente per le donne che viaggiano nelle zone rurali. I negozi e i ristoranti chiudono cinque volte al giorno per la preghiera e le esposizioni pubbliche dei simboli religiosi o politici stranieri non è tollerata. Durante il Ramadan mangiare, bere o fumare in pubblico durante le ore diurne è proibito. Alle scuole straniere è spesso richiesto di insegnare un segmento introduttivo annuale sull’Islam. a cura di Ornella Felici

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