“Padre Hanna sta bene ed è deciso a restare al suo posto. Giovedì scorso alcuni leader legati a Jahbat Al-Nusra, gruppo radicalista che lo aveva prelevato nella notte del 5 ottobre nella sua parrocchia di Knayeh, in Siria, sono andati a trovarlo ed hanno parlato con lui. Dal colloquio sembrerebbe che il suo arresto sia stato frutto di un malinteso. Padre Hanna mi ha espresso il suo ottimismo per una chiusura positiva del caso. Tutto dovrebbe finire presto e bene”. Per monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico per i latini di Aleppo, questa forse è l’unica buona notizia che arriva dalla Siria, paese segnato da tre anni di guerra che ha mietuto centinaia di migliaia di vittime e milioni di sfollati. Padre Abou Khazen vive ad Aleppo, città simbolo di questo conflitto. Detta anche “la grigia”, considerata “la capitale del Nord”, un tempo centro economico e sociale del Paese, oggi è una città divisa, contesa tra le forze ribelli e quelle leali al Governo del presidente Bashar al Assad.
Situazione critica. “Qui ad Aleppo la situazione è davvero critica. I colpi dei mortai sono continui. Non abbiamo avuto luce per qualche giorno e adesso l’energia elettrica viene erogata solo per due o tre ore quotidianamente”, racconta il vicario, che non nasconde una paura più grande, quella dell’avanzata dello Stato Islamico (Is) ormai alle porte della città. “Speriamo bene – spiega con voce preoccupata – perché l’Is non è molto lontano dal centro della città. La paura cresce ogni giorno di più. La città è divisa, ci sono quartieri controllati dai radicalisti e altri dalle forze armate siriane. Non bastano le tante difficoltà oggettive legate alla mancanza di cibo, gasolio e acqua, ora anche l’Is”. La popolazione è allo stremo e davanti ha un nuovo inverno da affrontare ma come? Padre George non risponde ma il suo pensiero corre a quelli rimasti in città dove sono ormai pochi i cristiani. “Oltre il 60% dei nostri fedeli ha lasciato la città. Noi viviamo qui con quei pochi rimasti e preghiamo che almeno un gruppo rimanga per non privare Aleppo della sua tradizione cristiana. Chi può, non solo tra i cristiani, sta cercando di fuggire. Esiste una strada piuttosto lunga, aperta dall’esercito siriano qualche mese fa e ancora sicura, che permette alla popolazione di entrare e uscire da Aleppo, ma consente anche l’ingresso di acqua, cibo e materiali vari necessari alla sopravvivenza. Questa è l’unica via di salvezza per chi vuole andarsene”.
Non bastano le notizie della resistenza curda a Kobane dove l’Is è stato costretto ad indietreggiare a tranquillizzare la popolazione. “Qui sappiamo bene – racconta mons. Abou Khazen – che questi gruppi islamisti ribelli hanno varie denominazioni ma un’unica origine, quella del radicalismo. Sappiamo che non lottano per garantire la libertà e i diritti civili delle persone, anzi il contrario”. Poi l’affondo: “La comunità internazionale deve saper discernere tra chi lotta per garantire libertà e diritti per tutto il popolo e chi no. Purtroppo coloro che combattono all’interno dei gruppi ribelli sono legati al radicalismo islamico. Le forze di opposizione siriane si sono sciolte davanti alla potenza finanziaria e militare dell’Is e di altre fazioni militari ribelli che sono formate per almeno il 70%, se non più, da gente straniera, e non da siriani”. In campo sono rimasti solo i propugnatori di un Islam intransigente, quello wahabita dell’Arabia Saudita. Il vicario a più riprese lo aveva detto in passato: “I miliziani che portano morte e distruzione sono formati da muftì e imam di questo ramo islamico. Anche in Siria, quando arrivano, cacciano le autorità religiose locali e mettono le loro. E istituiscono i loro tribunali”. È paradossale, allora, che l’Arabia Saudita sia uno dei Paesi che ora sostengono la coalizione contro l’Isis.
Per il vicario resta solo una strada che non è quella della guerra e delle armi: “La comunità internazionale deve costringere Governo siriano e fronte degli oppositori a dialogare e deve smetterla di armare i contendenti. Se esiste la volontà politica, un accordo si trova”. Intanto mentre in Siria si continua a morire, nel silenzio dei Grandi della Terra, i piccoli, come gli abitanti di Aleppo, cristiani e musulmani, praticano gesti di pace quotidiani, come sostenere mense allestite nei rispettivi quartieri cristiani e aperte a tutti, portare assistenza ai più bisognosi come anziani, malati e bambini. Una carità contagiosa che aiuta a resistere anche sotto assedio e che perpetua una tradizione di tolleranza e convivenza tutta siriana.
Di Daniele Rocchi per Agensir
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