Bolzano, sabato 29 dicembre. In sella alla bicicletta risalgo via della Visitazione. L’aria è tersa e dal cielo arrivano i primi fiocchi di neve. La pedalata è svelta. Alle 15 iniziano i funerali di don Giancarlo. Passo accanto a Casa San Francesco. Le mani schiacciano sui freni. Sulla facciata della sede de “La Stada – Der Weg” c’è la gigantografia di don Giancarlo, quella composta con i volti delle tante persone che in modi diversi hanno intrecciato le loro strade con “La Strada”. Giusto il tempo di tirare fuori dalla borsa il cellulare e fare un paio di scatti.
La chiesa di Regina Pacis è già tutta un brulicare di gente. A fatica arrivo accanto all’ambone, dove trovo altri colleghi, che con telecamere e macchine fotografiche riprendono la lunga fila di persone che scende lungo la navata centrale, asperge la bara di legno chiaro posta ai piedi dell’altare e l’accarezza con tenerezza facendosi il segno della croce.
In chiesa risuonano le parole del discorso della Montagna (Mt 25,31), che ritroviamo anche sulla Bibbia aperta sopra la bara di don Giancarlo, e i canti francescani tanto cari al fondatore de “La Strada – Der Weg”.
Il tempo scorre, come scorrono le parole, i ricordi, le preghiere. C’è chi si asciuga una lacrima, chi si stringe al vicino. Nella bancata laterale ci sono gli operatori de “La Strada”, che era diventata la famiglia di don Giancarlo.
La commozione diventa palpabile quando prende la parola don Luigi Ciotti, amico di una vita. “In don Giancarlo – ricorda – mai una fuga dalla storia e dal mondo. Anzi, lo stare davanti a Dio è stato un abbracciare la terra in cui era immerso. E questo è quello che dovremmo fare un pochettino tutti. Mai fuggire, abbracciare la terra, per saldare la terra e il cielo. Perché questa è la logica delle beatitudini”.
Dall’ambone riecheggiano i nomi di tanti sacerdoti della carità, di testimoni della fede di ieri e di oggi. E mentre tutti questi volti prendono forma nel ricordo, lo sguardo va a quella distesa di persone, che abbraccia quella bara di legno chiaro, “vestita” in semplicità con una Bibbia e un ramo di palma. Volti e persone diversi tra loro, che hanno incontrato don Giancarlo lungo la loro strada e con lui hanno tessuto un rapporto. Di amicizia, di aiuto, di ricerca di Dio o di semplice conoscenza. Osservandoli affollare banchi e navate della chiesa nasce l’immagine di un grande arazzo. Un po’ come quello affisso sulla facciata di casa S. Francesco. È come trovarsi di fronte ad un grande arazzo vivente, una tela intessuta di trama e ordito, di cui don Giancarlo si è fatto nella sua vita fine tessitore, lasciandosi attraversare dalle storie dei giovani, delle famiglie e degli ultimi incontrati lungo la strada, un po’ come fa il filo quando passa per la cruna dell’ago. Storie di vita a volte difficili e faticose, “fili” grossi da far passare dalla “cruna” del cuore, che quando le incontri non ne comprendi bene il senso. Non hai risposte alle tante domande, spesso balbetti, perché mancano le parole. Ma sai che il tuo essere lì, in quel momento, è perché quelle storie devono attraversare il tuo cuore per poter andare avanti.
“Abbracciare la terra per saldare la terra e il cielo”. Di fronte a quell’arazzo vivente è come se il tempo si fermasse all’improvviso dando un senso e una forma a quel disegno lungo una vita intera, e intrecciato di storie, persone, volti, lacrime e risate. S’intravvedono i contorni di un’opera grande e meravigliosa, unica, come unici sono i volti che la compongono.
La celebrazione termina. La bara di don Bertagnolli è accompagnata fuori dai collaboratori de “La Strada”, tra gli applausi della gente. Intuisci allora che quell’immagine fugace, ma presente, di questa pagina di storia che sei riuscito a cogliere per qualche istante sta per lasciar spazio ad un nuovo capitolo. Un po’ come se, nel suo ultimo viaggio terreno, don Giancarlo abbia voltato lui stesso quella pagina, per lasciar spazio ad una nuova storia, ad una nuova immagine, ad un nuovo arazzo intessuto di volti e di vite.
Fuori s’è fatto buio. E sotto le luci dei lampioni brillano i fiocchi di neve – la neve che fin da piccoli si aspetta per Natale – che nel frattempo hanno imbiancato ogni cosa. Una tela bianca su cui ricominciare a tessere una nuova storia, tra trama e ordito, percorrendo le strade del quotidiano.
di Irene Argentiero, direttrice de “Il Segno” (Bolzano)
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