Secondo l’Oms, entro il 2020 il 12 per cento degli adolescenti potrebbe essere affetto da disturbi psicopatologici gravi. Daniele Biondo, psicoanalista Arpad: “La responsabilità non è della tecnologia: sono piuttosto gli adulti che hanno rinunciato ad educare”.
Autolesionismo, fobie sociali, disturbi alimentari. E un’intero sottobosco di siti web che sembrano addirittura istigare questo tipo di comportamenti. Così, i disturbi psicopatologici proliferano tra gli adolescenti a ritmi da moderna epidemia. Stando ai dati diffusi dai neuropsichiatri del “Regina Margherita” di Torino, nel solo Piemonte ormai l’8 per cento dei giovanissimi ne sarebbe affetto; ma secondo l’Oms la percentuale sarebbe destinata a crescere di altri quattro punti entro il 2020. Resta da capire cosa possa aver innescato questa ondata di malessere. Ma almeno su un punto la comunità dei terapeuti sembra concorde: in questo quadro a tinte fosche, sono gli adulti i grandi assenti. Secondo Daniele Biondo, specialista dell’Associazione romana per la psicoterapia dell’adolescenza (Arpad), “i genitori di oggi, quelli cresciuti tra gli anni 70 e gli 80, finiscono sempre più spesso per dimettersi dalla propria funzione educativa: trovandosi senza punti di riferimento, i loro figli si stanno rassegnando a crescersi da sé. O meglio, a farsi crescere dal web e dalla tecnologia”.
Biondo, che negli studi dell’Arpad ha seguito centinaia di ragazzi, ha coniato due concetti chiave per comprendere il loro male di vivere: quelli di dolore “generazionale” e dolore “evolutivo”. È da qui che siamo partiti, per cercare di inquadrare meglio il problema. “Il primo – spiega il medico – è il prodotto della frattura generazionale che sta lasciando i nostri ragazzi senza punti di riferimento. La Net generation, quella nata attorno all’anno 2000, è la prima alla quale viene chiesto di crescersi da sola: si sono rassegnati a fare a meno non solo degli adulti, ma della stessa adultità come modello di riferimento. Emanciparsi dai genitori, oggi, non equivale più a lasciare la loro mano quando si è pronti ad andare per la propria strada: dagli adulti ci si scinde bruscamente; trovandosi però senza punti di riferimento. E ciò interferisce col processo di soggettivazione, ovvero con la formazione del sé: perché è dai genitori e dal mondo adulto che i ragazzi mutuano la propria identità. È qui che origina ciò che io chiamo ‘dolore evolutivo’; ovvero l’illusione di poter vivere facendo a meno non solo degli altri, ma perfino di se stessi”.
E cosa spinge i genitori ad abdicare così facilmente al loro ruolo?
“Un processo di imbarbarimento collettivo, che ha molto a che vedere col nostro modello produttivo e sta portando a un appiattimento dell’intera società su un registro adolescenziale. Con la sua identità volubile, in perpetuo divenire, l’adolescente è il consumatore perfetto. La società dei consumi ci vuole tutti inquieti, volubili; in una parola: adolescenti. Ed è per questo che – mentre i giovanissimi bruciano le tappe – i loro genitori regrediscono, agendo sempre più come caricature dei propri figli. Il problema, ancora una volta, è che in un mondo di pari non esistono figure di riferimento”.
Lei però sostiene che sono gli stessi terapeuti a dover padroneggiare il linguaggio degli adolescenti, per potersi relazionare con loro…
“Certo, ed è qualcosa che anche genitori e insegnanti possono e devono fare. Ma nel farlo è fondamentale che conservino la propria funzione di adulti, di educatori, senza rincorrere i ragazzi sul loro terreno; che invece è quello che moltissimi genitori fanno. E, paradossalmente, è proprio questo a tagliarli fuori. La generazione cresciuta nel ’68 e nel ’77, ad esempio, contestava ferocemente i propri genitori; ma li riconosceva comunque come interlocutori. I genitori di oggi, al contrario, si trovano semplicemente esclusi: e ciò accade perché, nel porsi come loro pari, rinunciano a trasmettere qualunque cosa ai propri figli. A un genitore si richiede senso di responsabilità, impegno, sacrificio: non è facile, ma è quello il suo ruolo, in ogni tempo e luogo”.
E in tutto questo che ruolo gioca la rete?
“Un ruolo molto importante, perché è in rete che molti di questi ragazzi mutuano le loro identità. Ma si tratta di identità instabili, surrogate; in grado di produrre danni anche gravi. Prendiamo l’esempio del sexting: nel tentativo di sedurre uno o più coetanei, una ragazza di dodici anni inizia a inviargli sul web delle foto in cui appare quasi nuda, in atteggiamenti provocanti. In quel momento, lei sta scimmiottando pose e cliché che a sua volta, probabilmente, ha visto sul web. Tramite i like sui social network, cerca di catturare attenzione, approvazioni: il che, in un certo senso, è anche normale a quell’età. Quello di cui non si rende conto è che, una volta inviate, su quelle immagini non avrà più alcun controllo: ed è così che nascono molti episodi di cyberbullismo, un altra faccia della medaglia di questo malessere. Con l’emergere di questa sessualità precoce, nei nostri studi ci troviamo ad affrontare emergenze di ogni tipo: gravidanze, malattie sessualmente trasmissibili. Segno che questi ragazzi si buttano in relazioni che, a 12 anni, non sono assolutamente in grado di gestire”.
E come si spezza questo rapporto morboso col virtuale?
“Di certo la soluzione non può essere la terapia d’urto, ovvero togliere bruscamente ogni accesso alla rete. In primo luogo perché, per questi ragazzi, lo smartphone diventa una vera e propria protesi: strapparglielo dalle mani è come portargli via una parte di sé; e andrebbe a scatenare solo ulteriori angosce. Poi perché non è imputabile alla rete la responsabilità di tutto questo. Internet è uno strumento: può essere usato per socializzare con altri giovani, così come per isolarsi totalmente all’interno del proprio mondo. Da noi ormai arrivano decine di ragazzi che si ritirano non tanto dalla scuola, ma dalla vita stessa: si chiudono in una stanza e possono restarci per anni, fino a non uscirne neanche per mangiare. Ma anche in situazioni del genere, più che un nemico da osteggiare, la tecnologia diventa uno strumento nelle mani del terapeuta per avvicinare questi ragazzi anche sul piano terapeutico. Quello che fanno all’interno del web può dirci molto su chi sono, sui loro bisogni e sulle loro angosce. Al punto che chiunque lavora con gli adolescenti, oggi, ha dovuto immaginare dei modelli di intervento ad hoc per situazioni del genere”
Redazione Papaboys (Fonte www.redattoresociale.it/ams)
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