Tra gli incubi notturni più frequenti, c’è l’esame di maturità non passato e da rifare: che invalida laurea, master e anni di lavoro. Nell’immaginario collettivo l’esame di maturità è quando i giochi finiscono ed inizia la vita. Chi non ci crede, pensi a Notte prima degli esami:ai film e alla canzone di Antonello Venditti.
Forse tutte queste cose mi condizionano, ma io vedo delle affinità tra
Ronaldo in campo che cade e piange in barella mentre lo portano via, e chi va agli esami con un credito verso la fortuna. Tra Ronaldo che fasciato e appoggiato alle spalle dell’allenatore zompetta a bordo campo urlando come un matto il suo tifo, la sua energia, la sua forza alla sua squadra, e quei padri e quelle madri che prima – agli scritti – erano relegati sulla strada fuori del cancello del liceo, e adesso sono lì che fanno su e giù nei corridoi ad aspettare che il figlio inizi l’interrogazione. Per entrare quando è già cominciata così non si distrae e non si emoziona. Lui, mio figlio, che – prima volta – si è vestito bene per l’occasione. Che ha la camicia al posto della solita maglietta, un pantalone ben stirato al posto del jeans, i capelli pettinati al posto del solito cespuglio e una faccetta carina al posto del grugno.
Sono tuo figlio – tua figlia – che oggi fanno gli orali, la tua squadra che va in finale. E vuoi che vincano, e vincano bene. Perché tu lo sai che valgono. Lo sai di che pasta sono fatti. Lo sai nonostante siano stati insopportabili in questi anni. Ma questa maturità se la meritano proprio.
La finale degli europei di calcio e la maturità di tuo figlio sono uno di quei momenti che i detti popolari sbagliano: partecipare non basta. Bisogna vincere e far vedere che si è campioni anche da azzoppati. Ronaldo che si rivela campione anche da azzoppato passa di categoria: da campione diventa eroe. Ha fatto la sua fortuna con i piedi ma diventa immortale con il cuore. A gamba zoppa si vede di che pasta sei. Il figlio che fa la maturità è la svolta della vita prima che per il figlio, per il genitore che rimane a guardare, che è lì a guardare e a fare il tifo. Come Cristiano Ronaldo che quello che non fa con i piedi, gli esce dalla bocca. E fa il colpo del maestro che non mette la palla in rete ma lancia il cuore nel cuore dei compagni di squadra.
Noi come Ronaldo, noi accanto ai nostri figli che entrano nella vita e noi facciamo loro posto. I nostri figli. Che se ne stanno lì seduti a toccarsi il colletto della camicia a cui non sono abituati e che hanno gli occhi sotto il ciuffo che tanto non c’è stato verso di farglielo tagliare. Ma i tatuaggi sul braccio – meno male – non si vedono. Forza e onore ragazzi. Lo ha detto anche Russell Crowe.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost
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