E’ una storia a lieto fine quella di Ahmed, 13 anni, partito dall’Egitto per trovare medici disponibili a curare il fratellino di 7 anni, affetto da una patologia del sangue. Il piccolo, grazie alla mobilitazione della Regione Toscana, sarà curato in Italia.
Ahmed è arrivato da solo, a Lampedusa, a bordo di un barcone. In Egitto, in una polverosa casbah a 130 chilometri dal Cairo, ha lasciato la famiglia e il fratellino Farid, affetto da una malattia del sangue, la piastrinopenia. Appena arrivato in Sicilia, ha estratto da un sacchetto di plastica la fotocopia di un certificato medico con la diagnosi della malattia del fratellino. Durante il viaggio, ha incrociato alcuni dei drammi dell’immigrazione.
Al suo arrivo in Italia ha raccontato di aver visto, prima della partenza, giovani donne trascinate in un magazzino da dove tornavano in lacrime prima di salire sul barcone. Ha anche detto che durante la traversata non ha ricevuto cibo ma solo un sorso di acqua al giorno. Ahmed ha temuto di morire ma non ha mai perso la speranza di trovare dei medici disposti a curare il più piccolo dei suoi fratelli.
Ha detto che il dolore più grande è stato quello di vedere Farid dover lasciare l’ospedale in Egitto perché il padre non aveva i soldi per pagare le cure. Ora sogna di poter giocare e correre insieme con il suo fratellino.
E Ahmed il grande, lasciato il corso zeppo di turisti, attraversa l’isola per correre mattina e pomeriggio verso il piccolo rifugiato al centro di contrada Imbriacola. Ascolta e riferisce l’ansia di Ahmed il piccolo per quel primo intervento: «Chiesero trentamila lire egiziane, quasi quattromila euro. E il doppio per la seconda operazione. Soltanto le analisi costano quattromila lire, cinquecento euro, ma mio padre raccogliendo datteri con mia madre, con il fratello più grande, un anno più di me, non guadagna mai più di tremila euro all’anno. Che cosa fare per salvare Farid? Ho sentito i miei genitori interrogarsi, parlarne con i miei zii. Quando ho capito che tanti ragazzi dalla mia città partivano con le barche ho deciso di dare una mano. “Vado pure io”, ho detto. Così io lavoro in Europa, mando i soldi, il fratellino si cura e guarisce, il grande continua a studiare e si prepara un futuro migliore per la più piccola, la nostra sorellina di tre anni…».
Come in un consiglio degli anziani, ecco che il piccolo grande Ahmed è riuscito a convincere tutti in famiglia. Anche lo zio che ha firmato le «cambiali»: «Delle carte. Un impegno con i trafficanti per pagare 2 mila euro nei prossimi anni. O con i miei guadagni, o con un suo terreno». Una sorta di garanzia che Ahmed richiama per spiegare come sia urgente trovare un posto in ospedale per il fratellino e un lavoro per lui: «Io chiedo aiuto ai medici, a qualche medico, all’Italia, ma voglio pagare tutto, lavorando…». È un’invocazione semplice rilanciata mentre gli dicono che andrà in una casa famiglia. Una di quelle fra Agrigento e Porto Empedocle da dove i minori poi scappano, spesso finendo in mano a nuovi sfruttatori. Ma, stanco di nascondersi, Ahmed, chiede aiuto. Soprattutto per il piccolo Farid.
di Redazione Papaboys (Fonti: Radio Vaticana / Corriere della sera)
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