Ieri a Piazza san Pietro, per la fine del Giubileo, c’erano quasi 1000 carcerati. Quando parliamo di prigioni quasi sempre lo facciamo in termini metaforici. Siamo prigionieri dello spirito, siamo prigionieri di scelte sbagliate, abitiamo in case che sono diventate carceri e abbiamo genitori o coniugi che sono come carcerieri.
Metafore, metafore. Metafore giuste per indicare una mancanza di libertà fisica ed esistenziale. Ma il carcere è una realtà e il Papa, che conosce bene l’etimologia della parola Giubileo, finisce per chiedere ai governi proprio questo: la liberazione dei detenuti.
Andiamo per gradi. I prigionieri veri, non quelli delle metafore, hanno diritto a vivere in luoghi in cui non possano minacciare la comunità civile e però siano garantiti i loro diritti: un minimo di spazio vitale, igiene, in qualche misura anche la possibilità di curare i propri affetti. Per questo il primo passo da compiere in Italia è dare un posto ad ogni detenuto.
Ora siamo 54.912 prigionieri per 50.062 posti; quando la Corte Europea ci aveva condannato per la sentenza Torreggiani eravamo 65.905 detenuti a fronte di 46mila posti. Molti dei passi in avanti ottenuti ci sono stati grazie al partito radicale e a Marco Pannella che hanno aiutato a far capire alla gente che esistono diritti fondamentali per ogni essere umano, qualsiasi sia l’errore commesso.
Ad essi si aggiunse Papa Francesco che promise il suo appoggio, nella sua prima famosa telefonata al leader radicale durante uno sciopero della sete. É notevolissimo che il Papa abbia voluto che i carcerati fossero lì, presenti: non gli è bastato pregare “per loro”, ha voluto che la Messa non fosse per loro ma con loro.
Forse perché aveva in serbo per loro questa sorpresa: chiedere la loro la liberazione. Che è l’unico modo vero per parlare di speranza a un detenuto. Le carceri non sono luoghi per buttare dentro qualcuno e buttar via la chiave ma luoghi dove bisognerebbe stare il meno possibile per costruirsi una ripartenza: per questo l’ergastolo è immorale ed è stata una delle prime cose che il Papa ha eliminato dal vaticano.
Perché una pena di morte nascosta – così il Pontefice definì il “fine pena mai” – non consente di mantenere accesa la speranza.
Ecco quindi, ieri, la richiesta del tutto inattesa dell’atto di clemenza: per qualcuno, almeno, la possibilità di una liberazione prima della fine del Giubileo, cioè tra 15 giorni: “Sottopongo alla considerazione delle competenti autorità civili la possibilità di compiere, in questo Anno Santo della Misericordia, un atto di clemenza verso quei carcerati che si riterranno idonei a beneficiare di tale provvedimento”.
E Marco Giacinto Pannella sorrideva.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost