Sabato il rito di apertura con il cardinale La religiosa fu dichiarata nel 2009 «Giusta tra le nazioni»: furono una ventina le persone a cui, rischiando la vita, evitò la deportazione.
«Qui non ci sono ebrei: ci sono solo figli di Dio e anche voi siete figli di Dio». Rispose così, suor Maria Agnese Tribbioli, tenendo stretto un crocifisso tra le mani, sbarrando la strada agli ufficiali delle SS che nel novembre 1943 si presentarono alla porta delle Pie operaie di San Giuseppe, la congregazione che la stessa religiosa aveva fondato a Firenze una ventina d’anni prima.
In realtà, all’interno della Casa di via dei Serragli, nella zona di Porta Romana, c’erano i fratelli Cesare e Vittorio, di 2 e 5 anni, con la madre Marcella, moglie del rabbino Simone Sacerdoti, che nel frattempo aveva trovato rifugio presso il Convitto ecclesiastico di via San Leonardo.
A raccontarlo per la prima volta, oltre sessant’anni dopo, sono stati gli stessi fratelli Cesare e Vittorio, promotori, tra l’altro, nel 2010 di una cerimonia in Palaz- zo Vecchio e di un riconoscimento alla memoria di madre Tribbioli che già l’anno prima era stata iscritta nel “Libro dei Giusti tra le nazioni”, l’alto riconoscimento dell’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme per i non ebrei che salvarono ebrei durante la seconda guerra mondiale.
A suor Maria Agnese (nata a Firenze nel 1879 e morta nel 1965) veniva riconosciuto di aver salvato dalla deportazione, mettendo a rischio la propria vita, non solo i tre membri della famiglia Sacerdoti, ma almeno un’altra ventina di persone. «Era piccola anche per un bambino di 5 anni – ebbe a dire Cesare –, ma era un gigante spirituale. Salvò non solo noi, ma molte altre madri con bambini, dicendo alle consorelle che eravamo tutti sfollati, vittime della guerra, tenendo segreta la nostra identità. In questo modo assunse su di sé la responsabilità proteggendo le altre suore da un’eventuale retata nazista».
Per questi fatti e per molti altri meriti, anche spirituali, è stata avviata per suor Maria Agnese Tribbioli la causa di beatificazione, che si aprirà ufficialmente, a livello di inchiesta diocesana, sabato alle 16 nella chiesa di San Giovanni Battista della Calza, nella piazza omonima, con la celebrazione del Vespro presieduta dal cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze. In quella mezza bugia, che poi bugia non è, ovvero in quella frase «ci sono solo figli di Dio», è racchiusa, a giudizio di Betori, l’idea che la coraggiosa suora aveva dell’unità di tutti i popoli. Mentre nel dire ai militari nazisti: «Anche voi siete figli di Dio» li invitava in qualche modo a riprendere la coscienza di sé, persa nell’adesione a un sistema criminale. Un atteggiamento francescano, si potrebbe dire.
Lo stesso che a livello di spiritualità caratterizza il carisma della congregazione e che si riassume in una vita di preghiera intensa, nella santificazione del lavoro e nella missionarietà. In questo senso è chiaro anche il riferimento a san Giuseppe, l’uomo del lavoro e del silenzio, dell’umiltà e della dedizione senza riserve. Attualmente, oltre che in Italia dove sono presenti in diverse regioni, le Pie operaie di San Giuseppe hanno case in Brasile, in India e in Romania.
di Andrea Fagioli per Avvenire