Il brano s’intitola Aldilà e l’ha ideato con l’amico don Gabriele Corini: «Con Bergoglio la Chiesa è rinata. Il cristianesimo può trasformare il mondo «Perché non scrivi una canzone per papa Francesco?». Da questa domanda dell’amico don Gabriele Corini è nato Aldilà, uno dei brani dell’ultimo album di Alberto Fortis, Con te.
Proprio così: il noto cantautore ha dato vita alla canzone insieme al sacerdote e teologo, suo amico da anni, ex parroco di Diano Marina, in Liguria, che conosce da quando, da giovane prete, faceva lunghe chiacchierate con i ragazzi. «Recentemente parlavamo spesso della figura di Francesco che, in qualche modo e con un’altra chiave di lettura, ha ripreso l’eredità di una figura così forte come quella di Giovanni Paolo II», racconta. «La Chiesa è rinata ed è tornata a espandersi con Francesco, la sua grande forza e il suo forte appeal. Chi mi conosce sa che sono schivo e restio… ma stavo lavorando su Aldilà e l’ho fatta sentire a don Gabriele… È stato entusiasta: è un inno, mi ha detto, potrebbe essere una canzone dei papaboys… Gli ho detto: se tu hai delle riflessioni possiamo scriverla insieme».
Un mese dopo Fortis e don Corini si incontrano nuovamente. «Mi ha fatto leggere dei pensieri che lui aveva scritto, riferiti esplicitamente alla figura del Papa, soprattutto alla sera del 13 marzo 2013, quando abbiamo capito che era il nuovo Pontefice», ricorda. «La canzone è rimasta identica nei ritornelli, invece nelle strofe ho fatto un lavoro di adattamento di alcune sue riflessioni, e ho avuto il coraggio di esplicitare la dedica a Francesco».
PIEMONTESE COME IL PAPA
Alla fine degli anni Settanta e negli Ottanta Fortis era l’artista che, magro come un chiodo, cantava Milano e Vincenzo, La sedia di lillà, Settembre, solo per citare tre brani tra i più noti. Successo, dischi di platino, tour: una carriera sempre all’insegna della ricerca, in sperimentazione. «Da battitore libero», precisa ridendo. Piemontese di Domodossola, studi al prestigioso Collegio Rosmini, Alberto Fortis ancora oggi ha una vitalità che contagia, una pace interiore oltre ogni moda passeggera che gli deriva anche dalla fedeltà a se stesso, senza sconti. «Sono un cantautore di estrazione e matrice pop, ho sempre avuto nel cuore musica dell’area black, gospel, new soul: Settembre è forse il primo pop gospel italiano cantautorale. Il brano Con te l’accomuno abbastanza a quello, per la sua forza semplice, diretta».
Il testo che dà il titolo all’album, Con te, è un inno alla vita, con un po’ di nostalgia per le occasioni mancate, anche sentimentali, ma quello che vince è l’ottimismo. «Parlo di cose che sono fondamentali nella vita, ma forse riesco a non farlo in maniera noiosa o banale. Quando scrivo tendo a relazionare quella che è la mia riflessione personale, la mia storia di vita, all’esterno e sugli altri. Mi annoierebbe parlare solo delle mie cose, fini a se stesse».
CIÒ CHE DÀ SENSO ALLA VITA
La condivisione è la strada per la felicità: Alberto Fortis lo sa bene. «La cosa meravigliosa della vita è condividere con gli altri, perché altrimenti si arriva alla fine del percorso… con cosa? Con i tesoretti nello scrigno? È asfittico. E la condivisione oggi sta un po’ mancando: è vero che nei periodi difficili si tende di più a pensare a se stessi, ma è importante non cedere alla rassegnazione, al bicchiere mezzo pieno, alla stanchezza per le tante cose che non funzionano. Mi auguro che si sia un po’ tutti alla vigilia di un cambiamento».
Fortis, che proviene da una famiglia di origini ebraiche da tante generazioni in Italia, è stato educato alla fede cattolica e, nel Collegio Rosmini di Domodossola, ha seguito quasi tutto l’iter scolastico: «Dai 9 ai 18 anni sono stato uno studente rosminiano: è un momento fondamentale della vita, sei una spugna che assorbe tutto, una pianta che si forma e cresce. Eravamo dei ragazzini che avevano ben poco tempo per lo svago, si studiava anche la sera, se volevi raggiungere ciò che il collegio ti richiedeva. Vivendo a Domodossola ero esterno. Entravo alle 8.30 e uscivo alle 17.30: poi c’era una serie di compiti a casa, anche dopo cena dovevi continuare a studiare».
Una formazione, quella rosminiana, profondamente cattolica: «Da giovani si hanno tutti i punti interrogativi possibili e immaginabili, ma quella scuola, che da ragazzino sembrava stare anche stretta, a posteriori è stata un dono. Con un lavoro balzano come il mio, mi ha sempre insegnato la dignità, a guardare all’aspetto morale di tantissime cose e certamente mi ha anche dato una formazione di conoscenza».
CRISTO, MAESTRO SPIRITUALE
È una fede solida quella di Alberto Fortis − «credo che esista una forma superiore e una continuazione della vita» − che si è nutrita anche della conoscenza di altre religioni, in quello che chiama «parallelismo religioso», che trova assonanze in qualsiasi tipo di religione e nelle parole dei veri grandi maestri spirituali, tra cui Gandhi, le cui parole hanno una forza spirituale enorme. «Ma per me la più bella di tutte le religioni è il cristianesimo, cui appartengo, perché il concetto della cristianità è qualcosa di meraviglioso, qualcosa che potrebbe fare di questo mondo un piccolo eden».
E su tutti i maestri svetta la figura di Cristo che, comunque lo si voglia considerare, è il più grande profeta della nostra storia, l’unico che è riuscito a dividere il mondo in prima e dopo di lui, una soglia temporale riconosciuta da qualsiasi religione. «Io sono credente ma, anche mettendomi nei panni di chi la fede non ce l’ha, per me anche solo il dubbio che possa esistere un qualcosa che fa di questa vita un percorso con una condivisione è una prospettiva che rende l’esistenza migliore a tutti».
SENSIBILE E GENEROSO
In una canzone del 2003, Lettera a un sogno, dedicata alla tragedia dell’11 settembre, Fortis parla di quello che per lui è il vero peccato originale: far diventare la religione la madre delle guerre. «In una frase dico: “Un Dio non chiede che Dio vorrai”, perché penso che la cosa più orribile per Dio sia vedere che ci si ammazzi nel suo nome».
Alberto Fortis è sempre stato sensibile ai temi sociali e umanitari, è ambasciatore Unicef per i bambini della popolazione nativo-americana Navajo, testimonial di Aism (Associazione italiana contro la sclerosi multipla) e di City Angels (Associazione umanitaria di volontariato sociale) e ha adottato un bambino, che per ora segue a distanza. «È di Cochin, nell’India del sud: finalmente, dopo cinque anni, l’anno scorso l’ho conosciuto, ed è stato un momento toccantissimo. La gioia di poter dare un futuro più sicuro e un’istruzione, una sicurezza, è una cosa indescrivibile… un po’ pure mi assomiglia… Ci sono tanti bambini soli e sfortunati, poter aiutare è una gioia profondissima, che ti dà tanta responsabilità».in paradiso»
Fonte www.famigliacristiana.it/Donatella Ferrario
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