«Dopo lunghe trattative fra esercito e milizie armate, i gruppi ribelli hanno consegnato le armi e sono usciti dalla parte est della città. Allora, l’esercito ha annunciato la notizia: Aleppo, si può considerare città sicura.
Appena è arrivata la notizia, tutte le moschee hanno alzato la voce e tutte le chiese di Aleppo, quelle che hanno ancora il campanile, hanno suonato a lungo. Un sogno si è realizzato, due giorni prima della nascita del Re della pace». È questo il messaggio inviato tramite whatsapp di prima mattina da Ibrahim Al Sabagh, il parroco di San Francesco, la chiesa latina di Aleppo Ovest. La notizia, accolta con festa da migliaia di aleppini e con sollievo da tanti nel mondo, segna la svolta dopo oltre 4 anni di assedio della città e quasi 6 di guerra in tutto il Paese.
Vatican Insider, ha raggiunto al telefono il vice di Padre Ibrahim, Padre Firas Lutfi.
Come è la situazione al momento?
«Ieri sera, intorno alle 20.00, è partito l’ultimo autobus che portava via da Aleppo i jihadisti. Finalmente, dopo 4 lunghissimi anni di assedio, la città potrà respirare. Ieri c’è stata l’inaugurazione dell’albero di Natale, proprio dietro la nostra chiesa e subito si è scatenata la festa con tantissime famiglie, di ogni religione. Vogliono dimostrare che la città è tornata normale e sicura. Finalmente, dopo tanto tempo è tornato anche il traffico (ride, ndr). Prima partivo dal convento dove risiedo e arrivavo in parrocchia in 10 minuti; da ieri ne impiego 30! Le persone che incontro riacquistano fiducia».
Temete che il cessate il fuoco non venga rispettato?
«Secondo le forze dell’ordine ad Aleppo è tutto sorto controllo, tutti i jihadisti sono usciti. Temiamo però attentati o azioni disperate di cellule dormienti simpatizzanti dei jihadisti. Poi, ovviamente, c’è la periferia di Aleppo che non è ancora completamente tranquilla».
Quali sono le emergenze, le cose più urgenti da fare?
«Bisogna al più presto andare in soccorso delle famiglie uscite da Aleppo est, terrorizzate, affamate e assetate. Hanno subìto ogni forma di violenza e sono state ridotte allo stremo dai jihadisti che, invece, godevano dei tutti i beni disponibili. Poi bisogna pensare alle decine di migliaia di sfollati nel campo profughi di Jibrin e provvedere a riscaldare la popolazione, due giorni fa ha nevicato.
Un altro aspetto molto urgente è l’assistenza psicologica di cui hanno un disperato bisogno tutti, specialmente i bambini. All’inizio del nuovo anno vorremmo inaugurare un centro di rieducazione psicologica per disturbi post traumatici dovuti alla reminiscenza della guerra. Il vero problema sarà la ricostruzione dell’uomo, prima ancora degli edifici; recuperare la fiducia e la possibilità di vivere con gli altri. Negli ultimi anni siamo vissuti con l’idea di una divisione profonda tra Aleppo est e Aleppo ovest, come se fossimo due fazioni nemiche. Inoltre, è stata inculcata nel profondo l’ideologia dell’uccidere in nome di Dio. Da qui dovremo ripartire per ricostruire la nostra società .
La consegna delle armi ad Aleppo può segnare la fine della guerra in tutta la Siria?
«È un passo avanti molto importante anche perché la riconquista di Aleppo ha impedito la spartizione della Siria. Ma non può ancora significare la fine della guerra. Non dimentichiamo che c’è ancora Raqqa, c’è ancora Idlib. Diciamo che la conquista di Aleppo è stata decisiva, ma non ancora definitiva per la pace nel nostro martoriato Paese».
È il primo Natale di pace dopo anni terribili…
«Da ieri ripenso spesso al Natale dell’anno scorso, ero seduto nel confessionale poco prima della Messa, sono caduti uno dopo l’altro 6 o 7 missili, sono uscito di corsa e mi sono detto: basta, non si può festeggiare il Natale, sospenderò ogni celebrazione. Invece, pochi minuti dopo, sfidando la guerra, sono arrivate decine e decine di bambini e abbiamo iniziato la Messa. Questo incubo, la paura anche di pregare, di incontrasi, sembra finalmente finito ed è meraviglioso che ciò sia avvenuto proprio a ridosso di questa festa».
Redazione Papaboys (Fonte www.lastampa.it)
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