Alfio Marchini dice su La7 a Piazza Pulita che il figlio si è ripreso da un brutto incidente perché non si è mai fatto una canna. C’è il video che guardo e riguardo più volte. Al di là del merito, mi sembra ci sia qualcosa da ascoltare che non è nelle parole. Parlo del silenzio glaciale e dei sorrisini ironici del giovane pubblico. Vedo il Marchini padre che parla da padre e non da candidato sindaco. È come stare in cucina mentre una madre prepara la cena e parla di canne con la figlia. Sono due mondi, due modi abissalmente diversi di vedere, di parlare, di sapere di droga. Per un genitore, la droga è il vicolo buio anni ’80 con gli eroinomani accasciati. Per un figlio, la canna è un momento sociale: “A meno che non sei un accannato perso, la canna te la fai con gli amici”: dicunt, anno 2016.
Se sei genitore e adulto la droga te la dà uno spacciatore intorno alla stazione. Se sei figlio “la trovi ovunque, parrocchia, scuola. Papà, spaccia quello del V E”: dicunt, maggio 2016.
Alfio Marchini parla del figlio in coma, dice nel video – non nel riportato dalle agenzie – che è stato “miracolato”. Parla in TV da candidato sindaco e, televisivamente parlando, il silenzio dei ragazzi in studio è socialmente mortifero, un suicidio. Ma se sei stato al capezzale di un figlio in coma, lo sai di cosa parla Marchini. Parla di qualcuno che e più della sua stessa vita perché è la tua vita in tuo figlio. È la tua vita che se ne va in giro per la città di giorno e di notte e tu sei a casa, al lavoro e poi arrivano certe telefonate che muori tu prima di lui, muori tu anche se lui sopravvive. “Le canne, mamma, se le fanno tutti. Le trovi dappertutto. Me ne faccio una ogni tanto, mamma, ma ho già smesso.”
Penso ai ragazzi della trasmissione, silenziosi e ammiccanti di sorrisetti in studio e mi dico che mai come ora noi adulti dobbiamo fare uscire i nostri figli dagli scenari da sogno o apocalittici nei quali li mettiamo. Fateci caso: Marchini dice “miracolato” ma le agenzie non osano la parola e riportano “si è ripreso”, un genitore vede sempre la vita del figlio come “di più”, nel bene o nel male che sia. Ma rispetto ai giovani oggi, quali che siano, dobbiamo fidarci del loro sentire, del loro sapere. Non possiamo davvero fare altro. Pensiamo al nostro e al loro rapporto con internet e capiamo di cosa sto parlando. Oggi, essere adulti accanto ai sedicenni, significa puntare non su quello che sappiamo ma su ciò che siamo. Che siamo come uomini. Oggi più che mai, con i figli, o ci sei come uomo, come persona, o non sai e non puoi nulla.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost