Categorie: Pax et Justitia

Algeria, il crocevia dei migranti è controllato dai jihadisti

Gran parte dei sub-sahariani che sbarcano in Europa prosegue il proprio viaggio verso la Germania e i Paesi scandinavi. Ma non i migranti ghanesi, gambiani e soprattutto maliani, quasi 10mila dei quali arrivati in Italia nel 2014.

Loro chiedono protezione perché fuggono dalla guerra civile in un Paese spaccato: islamisti e ribelli tuareg contro il governo di Bamako. Sono i principali fruitori della rotta africana settentrionale che porta alla Libia attraverso l’Algeria. Arrivano da Gao diretti a Tamanrasset, terminal algerino di bande criminali attive nel Sahel. Terroristi e trafficanti di uomini che nell’area, nonostante l’intervento francese e la missione Onu, hanno continuato a contrabbandare armi, droga e merci, stretto accordi con milizie oltre confine e taglieggiato i passeurs.

A Gao i camion vanno a nord con i migranti e tornano con le merci. Chi raggiunge l’Algeria e le coste paga a tappe. Migliaia di dollari per ogni tappa. Le vie per l’Algeria, attraverso il deserto contano su basi segrete e vie non segnate dalle mappe, regno dei Tuareg e dei gruppi centro-africani legati ad Al Qaeda.

Forte è l’influenza del capo del gruppo salafita Mokhtar Belmokhtar, algerino, alleato proprio con il Mujao, Movimento per l’Unità e la Jihad in Africa occidentale.

E l’Algeria è diventata così il grande crocevia per chi raggiunge la Libia che per chi decide di entrare in Europa attraverso le enclavi spagnole in Marocco. Non solo partendo dal Mali, ma anche da Niger, Gambia, Senegal, Ghana, Costa d’Avorio, Nigeria e Siria, attraverso uno scalo aereo dall’Egitto. Il 70% sono siriani e maliani.

«Nell’ultimo anno sono aumentati i migranti vulnerabili, donne vittime di violenza, madri sole con figli, minori non accompagnati – spiega Gino Barsella, delegato del Cir per l’Algeria – e i siriani, il cui aumento è stato influenzato dalle politiche del Marocco, dove subiscono lo stesso trattamento destinato ai sub-sahariani. La società algerina si è trovata per la prima volta ad affrontare il problema dei centri di accoglienza e i programmi di ritorno volontario, ha creato campi di accoglienza dei quali non sappiamo nulla».

L’Algeria è in trasformazione. I ‘clandestini’ non hanno diritti, spesso finiscono in strada, di loro si occupa la Mezzaluna Rossa algerina, braccio umanitario dello Stato, che con la crisi del Mali aveva sospeso i rimpatri e con la guerra in Siria ha accolto i rifugiati con misure speciali. Poi è arrivato l’incremento dei flussi dal Niger: i nigerini erano lavoratori stagionali nelle aree del sud algerino, oggi si spingono a nord. Molti hanno trovato rifugio in tendopoli alla periferia di Algeri e Orano, vivono di elemosina, sono arrivati da Zinder, Arlit e Agadez pagando 1.100 euro ai trafficanti. A Tamanrasset, Ouargla e Ghardaia nei cantieri edili cercano lavoro. Circa 3.000 sono stati rimpatriati in dicembre perché irregolari.

Recenti arresti a Tamanrasset hanno portato alla luce il commercio di armi libiche e di migranti nel nord del Mali. Da qui molti raggiungono il Marocco passando per Maghnia, Adrar e Oran. Oppure percorrendo la Mauritania, dalla via che da Dakar raggiunge Rabat e Casablanca. L’Algeria è una frontiera e una barriera per chi si dirige verso il Marocco con passaporti falsi o nascondendosi nei mezzi in transito. Migliaia i siriani, partiti da Haman, che attraverso l’Algeria raggiungono Melilla. Tariffa 7.000 dollari per una famiglia con due figli.

Arrivano invece da Camerun, Guinea, Mali e Costa d’Avorio i 400 migranti attualmente accampati nel bosco di Gurugú, in territorio marocchino, in attesa di oltrepassare le barriere costate alla Spagna in 20 anni 200 milioni di euro. Se la polizia del Marocco compie abusi ed espulsioni forzate verso l’Algeria, la Guardia Civil spagnola è accusata di consegnare i migranti catturati tra le barriere agli agenti marocchini. La Ong Prodein documenta da tempo le violente pratiche di respingimento. Il 95% di chi cerca di passare non ce la fa, sostiene, e circa 16.000 le persone che ci hanno provato più volte nel 2014. Di
questi, il 30% sono minorenni.

Fonte. Avvenire

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