Andava sempre in giro con una croce appesa al collo e quando è arrivato in Libia, sperando di partire subito per l’Italia, gli spietati miliziani dell’Isis non gliel’hanno perdonato. L’hanno catturato, imprigionato e torturato: per tre anni Alizar Brhane è stato rinchiuso in un’affollatissima prigione e le cicatrici che portava sul corpo dimostravano quanto dolore avesse patito. Il 21 marzo scorso era arrivato in Sardegna e da qualche giorno aveva avuto la notizia che aspettava di più: il permesso per lasciare la casa di accoglienza di Cagliari era già stato firmato, ma ancora gli doveva essere consegnato.
TROVATO AGONIZZANTE IN UN PIAZZALE
Alizar aveva vent’anni, era partito dall’Eritrea e stava iniziando a sentirsi il protagonista di una favola. Invece quel destino maledetto ha continuato a perseguitarlo: la mattina del 1 novembre gli altri ragazzi che vivono in un ex hotel alla periferia di Cagliari l’hanno trovato agonizzante, quasi morto, riverso sul piazzale, all’ombra di alcuni alberi. Quel che è successo non è chiaro perché nessuno ha visto o sentito, ma in questo dramma c’è almeno un aspetto positivo. Alizar ha fatto il dono più grande: i suoi organi hanno allungato la vita a cinque persone che da tempo attendevano un trapianto e che avevano quasi perso la fiducia.
CHE TIPO DI RAGAZZO ERA
Il cuore e il fegato di Alizar sono stati trapiantati a Bologna, i suoi reni in Sardegna, mentre i polmoni sono andati a Padova. «Quando è arrivato in ospedale abbiamo scoperto la storia terribile di questo ragazzo – confida Ugo Storelli, responsabile dell’equipe espianti dell’ospedale Brotzu di Cagliari – Gli amici ci hanno raccontato che era un ragazzo molto timido, riservatissimo, che aveva sofferto tantissimo. I colleghi hanno fatto di tutto per tentare di salvarlo ma quando è stato accompagnato al pronto soccorso le sue condizioni erano davvero disperate. Lui non è riuscito a coronare il suo grande sogno, ma ha dato a cinque persone nuova speranza di vita».
FORSE SI ERA ARRAMPICATO SU UN ALBERO
Sulla morte di Alizar la polizia ha fatto subito i primi accertamenti ma il caso è stato archiviato nel giro di poche ore. Per gli uomini della Squadra mobile si è trattato di un incidente: il giovane eritreo, secondo gli investigatori, si era arrampicato su uno degli alberi che svettano intorno all’ex hotel trasformato in casa di accoglienza per profughi. Forse, ipotizzano gli investigatori, voleva entrare in camera dalla finestra perché non aveva rispettato l’orario previsto per il rientro.
ANCORA GIALLO SULLE CAUSE VERE DELLA SUA MORTE
E chissà come, stando sempre all’ipotesi degli agenti, ha perso l’equilibrio ed è caduto. I compagni l’hanno trovato moribondo alle nove del mattino ma il ventenne era agonizzante già da alcune ore. «Perché doveva passare dalla finestra? – chiede un connazionale che ora tenta di organizzare un funerale – Siamo sicuri che sia morto lì? Possibile che sia stato trascinato fino a quel punto?
Era un ragazzo timidissimo e diffidente, non era uno che andava in giro a ubriacarsi».
I TRAUMI RIPORTATI
I medici dell’ospedale Brotzu, comunque, hanno riscontrato un trauma cranico e toracico ma non hanno ritrovato lesioni che possano far pensare a un pestaggio. «Aveva sofferto tanto e meritava di coltivare il sogno di una vita migliore in Europa – dice un altro ragazzo eritreo – Alizar era un ragazzo generoso e con i suoi organi ha fatto il dono più grande che potesse».
Redazione Papaboys (Fonte www.lastampa.it/Nicola Pinna)
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