Gianluigi Rosa, atleta azzurro paralimpico, ha raggiunto la cima dolomitica del Campanil Basso, 2883 metri ripidi e slanciati come una torre campanaria. Ma ora deve pensare all’hockey.
Dici Campanil Basso e pensi a una delle montagne più belle del mondo. A quella vetta che sta nel cuore del Brenta, a quella cima dolomitica – 2883 metri, ripida e slanciata proprio come una torre campanaria – che ogni estate si fa calpestare da un gruppetto di rocciatori. Diventando per tutti gli altri niente più di una chimera. Quando la scali, toccando difficoltà fino al V grado, ti accorgi che le sue pareti giallastre s’inabissano per centinaia di metri. E pensi che allenamento e coraggio siano sì ingredienti indispensabili, ma non meno di un fisico perfetto immune dal più piccolo graffio. Pensi questo. Anzi, pensavi. Perché quanto accaduto due giorni fa ha ribaltato pensieri e prospettive, aprendo una nuova stagione per l’alpinismo italiano e non solo.
A 17 anni aveva perso una gamba Gianluigi Rosa di Lavis (Trento). Ma alle 13.30 di domenica – dodici anni dopo quel terribile incidente in moto – sono state le sue mani a far risuonare le tre campane tubolari che ornano la vetta del “Basso”.
A sorridere accanto a lui un gruppetto di amici, e più di tutti la mente e il mentore della sua impresa: Simone Elmi
, la guida alpina di Trentino Activity che nel 2015 ha voluto specializzarsi nell’accompagnamento di disabili. Quell’estate – inaugurando l’esperienza di Dolomiti Open” – aveva “aperto” a un disabile psichico cima Tosa, un’altra perla del gruppo. L’anno scorso, grazie a lui un ragazzino affetto da diabete aveva potuto accarezzare cima Brenta, un poco più difficile della precedente. E l’altro giorno il terzo traguardo. Ancor più inimmaginabile dei precedenti.Era frizzante l’atmosfera, sabato mattina, quando il gruppo aveva preso le mosse da Molveno. Meta il rifugio Pedrotti, “custode” della vicina bocca di Brenta, casa che Franco Nicolini e famiglia aprono ogni anno a migliaia di alpinisti. Facendo sentire ognuno come fosse l’unico ospite. Qui, nel pomeriggio, “l’intervista impossibile” firmata da Rosario Fichera aveva rievocato il mito di Paul Preuss: quel bimbo poliomelitico – affascinante l’assonanza con quanto sarebbe successo il giorno seguente – che dopo essersi affrancato dalla carrozzina aveva aperto sul “Basso” una vertiginosa via, ancora più difficile della “normale”. Era il 1911, e lui aveva 25 anni. Due in più di Pietro Baldrighi, che in abito tirolese e corda dell’epoca ne ha impersonato la voce, incalzato dalle domande della sorella Martina.
Pietro Baldrighi nelle vesti di Paul Preuss
E il buio di quella sera non è stato molto diverso da quello antelucano, calcato dal primo – temerario – gruppetto partito alle 5 alla volta del “Basso”. Un’ora e mezza più tardi, ed ecco uscire dal rifugio un’altra decina di formichette imbragate: loro meta la “Via delle Bocchette Centrali”, una ferrata che anche ai meno esperti permette di toccare il cuore del Brenta. E di guardare il “Campanil” – se non dalla vetta – almeno da vicino naso all’insù. Ma non era finita. Alle 9 erano arrivati loro, tra schiamazzi e tanta allegria, a rompere l’austerità di quella casetta alpina: i cinque disabili psichici della fondazione “Sportfund” di Bologna, che in gioioso ordine sparso erano scesi su comodo sentiero fino alla “Busa degli Sfulmini”. Ovviamente, sotto l’occhio vigile delle guide.
“Non importa se uno s’avventura sul “Basso”, o percorre le “Centrali”, o semplicemente scende alla Busa – ha più volte scandito Elmi -: la nostra esperienza vuole aiutare ognuno a superare il proprio limite, facendo in modo che le Dolomiti Unesco diventino davvero patrimonio dell’umanità”. Parole, le sue, che verso le 10 la musica aveva sublimato in un momento di grande fascino: dalla “Sentinella”, aguzzissima cimetta che s’innalza dalle “Centrali”, il trombone di Fabrizio Biordi aveva dialogato con il sax contralto di Michele Selva, appollaiato sul cengione che taglia a metà il “Basso”. E le note dell’”Aria sulla IV corda”, capolavoro del grande Bach, si erano idealmente e contemporaneamente fatte grande abbraccio tra tre gruppi partecipanti. Una trentina di persone in tutto: disabili, normodotati, amici, operatori della stampa. Tutti uniti dall’amore per l’uomo e dalla passione per la montagna.
Fabrizio Biordi sulla “Sentinella”
Ma l’eroe delle Dolomiti, per un giorno almeno, è stato lui: Gianluigi, un omone che la sorte ha piegato ma non spezzato. E che pochi mesi dopo quell’incidente stradale già si era risollevato più forte di prima. “I freni della moto avevano smesso di funzionare, stavo arrivando in curva… mi son visto per terra attorniato da soccorritori, alternavo momenti di coscienza ad altri d’incoscienza…”. E per capire la tempra: “Ricordo che in sala operatoria mi stavano tagliando i jeans. Ma quando sono arrivati alla giacca da moto, appena presa…quella me la son tolta io”. Qualcosa va storto. Un’infezione al ginocchio, la situazione che degenera. E i medici che ai genitori dicono “o lui o la gamba”. Quella gamba con cui correva, sciava, giocava a calcio… “Era la disperazione. Ma genitori e amici mi hanno forzato a uscire. E qui è cominciata la mia nuova vita”.
Ora Gianluigi è tra i più forti giocatori di Hockey su slittino: capitano delle Aquile del Sud Tirolo, promessa della nazionale, atleta chiave nelle Paralimpiadi del 2010. “Quest’inverno mi aspettano a quelle di Pyeongchang, in Corea”, annuncia. E ti fa capire che l’alpinismo – anche se ora fa strano dirlo – per lui è più che un contorno. La prima “via” l’ha fatta solo l’anno scorso, e alla sfida del “Basso” è arrivato per caso dopo aver conosciuto Fichera. Che a sua volta gli ha presentato Elmi. Ingrediente della pozione magica anche una società statunitense, la “Evolv”: è un suo regalo la protesi idraulica di Gianluigi, confezionata e inaugurata appositamente per quest’avventura.
Rosa ora non ha più problemi d’autostima. Anzi. Sorride ripensando all’inizio della sua nuova vita, quando aveva ripreso a sciare con una gamba sola. Mentre si trovava lì, in procinto di partire, gli occhi della gente spesso materializzavano pietà. Ma già allora, “quando mi vedevano tirare due curve, quello sguardo si trasformava in meraviglia”. Se però lo riporti al presente, e gli chiedi quali altre cime scalerà in futuro, lui taglia corto. Ride. E senza mezzi termini ti dice: “Sarà meglio che metta via l’imbrago e mi dedichi all’Hockey, altrimenti mi fanno il mazzo!”. Già. Le Paralimpiadi sono vicine.
Fonte www.avvenire.it
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