Immediatamente a Nord del parco nuovo annesso al castello di Pavia, in località detta “Torre del Mangano” a 5 km circa dalla città, Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano, Conte di Virtù-Angleria-Pavia, Signore di Siena e Pisa, poneva, in data 27 agosto dell’anno 1396, la prima pietra della Certosa nella cornice di una sfarzosa e festosa cerimonia cittadina.
Con questo atto il Duca dava inizio alla realizzazione di un progetto grandioso a cui già da qualche anno pensava, spinto principalmente, sembra, dal voto emesso sotto forma di testamento nell’anno 1390 dalla sua seconda moglie Caterina Visconti, figlia di Bernabò Visconti e di Regina della Scala. Già nel dicembre del 1393 infatti Gian Galeazzo Visconti aveva iniziato la donazione di vasti possedimenti – che avrebbe aumentati in seguito con il testamento del 1397 – i cui redditi destinava parte alla costruzione e parte alla dotazione della Certosa e nell’anno 1394 aveva comunicato alla comunità dei PP. Certosini di Siena la decisione di voler innalzare un monastero “quam solemnius et magis notabile poterimus” da affidare al loro Ordine. Aveva commesso quindi la direzione dei lavori con il titolo di “ingenierius generalis” a Bernardo da Venezia, apprezzato intagliatore ed esperto dei problemi di statica, ed aveva associato a lui quali collaboratori principali uno degli ingegneri più stimati del Duomo di Milano, Giacomo da Campione, disegnatore su pergamena del progetto della Certosa, e Cristoforo da Conigo, alle dipendenze di Bernardo da Venezia, quale ingegnere stabile nella direzione immediata e continua della costruzione e depositario del primitivo progetto fino al 1460 nel cantiere della Certosa. Di tanto in tanto inoltre il Duca inviava sul posto gruppi di tecnici per controllare il procedere dei lavori e per aiutare Bernardo da Venezia a risolvere i vari problemi che man mano sorgevano. Collaboravano con gli artisti anche i PP. Certosini riguardo alla struttura della costruzione secondo le esigenze della loro particolare forma di vita monastica. Per cui non è possibile riportare la Certosa ad una paternità ben determinata ed è difficile persino, in questo lavoro di collaborazione, precisare l’apporto dei singoli. Risultato concreto dell’incontro delle diverse competenze,dei diversi gusti con l’esigenza di una struttura secondo una particolare forma di vita fu per allora un modellino disgra- ziatamente perduto nel Cinquecento. Dopo la cerimonia del 27 agosto i lavori proseguirono in modo febbrile. Nell’area destinata alla Certosa sorse un cantiere che tra artisti, artigiani ed operai impegnava trecento persone circa. Impor-tante, per noi, la disamina e la stima dei lavori eseguita per incarico del Padre Priore dei Certosini – a cui nell’Ottobre del 1401 era stata affidata dal Duca la direzione, l’amministrazione e la sorveglianza dei lavori – da Antonio di Marco da Cremona che ci elenca, a sei anni circa dall’inizio e a pochi mesi dalla morte del Gian Galeazzo, i lavori in corso: refettorio, celle, infermeria, barberia, capitolo ecc. Da questo elenco risulta che si rimandava alla fine, per varie probabili cause, la costruzione della Chiesa che in quel tempo presentava le fondamenta “facta et completa usque ad superficiem terrae equaliter et ad livellum”.
Il 3 settembre del 1402, a 51 anni, sul punto di conquistare Firenze e sicuro ormai del dominio di tutta Italia, Gian Galeazzo Visconti moriva a Melegnano, dopo aver aggiunto nei pochi giorni della sua malattia, un codicillo al testamento del 1397 con cui obbligava il suo primogenito Giovanni Maria ad assegnare un nuovo reddito di 10.000 fiorini alla fabbrica della Certosa, da distribuire ai poveri al termine dei lavori. La morte del Duca mise in difficoltà i lavori alla Certosa. Da più parti si accamparono diritti sui possedimenti donati ai PP. Certosini mentre il successore Giovanni Maria si mostrava egli stesso poco rispettoso della volontà testamentaria del padre.
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