Soldati vicini a sito in cui Al Baghdadi lanciò crociata in 2014 – Le forze di sicurezza irachene si trovano a poche centinaia di metri dalla Grande moschea di Mosul, nell’ovest della città, dove Abu Bakr Al-Baghdadi proclamò il califfato dell’ Isis, nel 2014. Secondo quanto riferisce l’iraniana Press Tv, che cita il capo della polizia federale iracheno Raed Shaker Jawdat, le forze lealiste si trovano vicinissimi al minareto al‘ Hadba (‘il gobbo’) e alla grande moschea di Nuri, nella parte vecchia della città dopo aver affrontato violenti scontri con i miliziani dell’ Isis.
Il capo della Polizia ha aggiunto che la moschea è ora completamente circondata e che droni iracheni stanno monitorando i movimenti dei miliziani nella zona, combattendo casa per casa. E mentre i combattimenti tra le forze di Sicurezza e gli estremisti si stanno intensificando, migliaia di iracheni sono riusciti a fuggire dalle aree ancora sotto controllo dell’ Isis. Le forze irachene stanno combattendo “casa per casa”.
La moschea è situata nel centro della seconda città irachena, la Città vecchia è l’ultima roccaforte dell’ Isis a Mosul.
Le forze irachene hanno lanciato lo scorso 19 febbraio l’operazione per riconquistare la zona occidentale di Mosul, l’area più densamente popolata della città ancora in mano all’ Isis, nell’ambito dell’offensiva contro i jihadisti avviata lo scorso ottobre.
Paura Isis, la Ue si blinda: “Pronti nuovi attacchi”. Massima allerta in Italia
La frantumazione dello Stato islamico, con le due capitali di Raqqa e Mosul prossime alla caduta, non è una buona notizia per l’intelligence europea. C’è la convinzione che l’Isis tenterà il colpo di coda, cercando presto di attaccare l’Unione. Ogni episodio, come l’aggessione all’aeroporto di Parigi, viene analizzato per ricostruire qualunque possibile contatto con la ragnatela radicale che comunica sul web o si affida a predicatori itineranti. L’allerta è massima. Un allarme che riguarda anche l’Italia e spinge a potenziare le misure di sicurezza in vista delle celebrazioni del Trattato di Roma, che nel prossimo weekend raduneranno nella capitale i capi di Stato della Ue.
Dalla scorsa estate le partenze di volontari della jihad verso il Medio Oriente si sono sostanzialmente fermate: la frontiera turca è stata chiusa, i viaggi sono diventati impossibili. E’ la stessa propaganda del Califfato a invitare i suoi accoliti a non partire: “Bisogna seminare la morte in Occidente, dovete ucciderli lì dove vi trovate”, ripetono gli appelli rilanciati su Internet.
Invece aumentano le segnalazioni sui reduci che dall’Iraq e dalla Siria cercano di tornare in Europa, muovendosi soprattutto lungo i percorsi balcanici dove possono contare su appoggi vecchi e nuovi. Si sentono emuli della Hijram, la sacra migrazione che nel 622 portò Maometto dalla Mecca a Medina, permettendogli di sfuggire ai nemici e rimettere in sesto il suo gruppo. Sono combattenti che non si sentono sconfitti e credono in una missione di fede senza scadenze: uomini addestrati da mesi di guerra e pronti a tutto.
Non sono soltanto loro a fare paura. Alla ritirata dell’Isis si accompagna una nuova vitalità di Al Qaeda, mai scomparsa seppur afflitta negli scorsi anni da un calo di visibilità e di reclute. Con i soldati iracheni alle porte della moschea dove nel luglio del 2014 Abu Bakr Al Baghdadi proclamò la nascita del Califfato, oggi i militanti dell’organizzazione di Osama Bin Laden trovano più seguaci e si dimostrano sempre più attivi, sui campi di battaglia della Siria e della Libia, ma anche nelle cellule rimaste nascoste in Europa.
In questo contesto, l’Italia non è immune dai pericoli. Anzi, i vertici della sicurezza nazionale restano convinti che il terrorismo jihadista colpirà anche da noi. Non è fatalismo, ma l’analisi dei segnali aggiornata continuamente e che mostra aspiranti kamikaze privi di armi ma capaci di usare qualunque strumento per cercare di uccidere: un coltello, un auto, un camion.
Una minaccia che si cerca di contrastare ogni giorno. Ci sono ottomila soldati a presidiare piazze e monumenti; agli agenti è stato chiesto di girare sempre armati, anche quando sono fuori servizio. Misure che nascono dall’esperienza degli attacchi condotti sulle strade in Francia, in Germania, in Belgio. Soprattutto viene rafforzata l’attività di controllo sul territorio, a qualunque ora: quella vigilanza che ha permesso di individuare Anis Amri, il killer di Berlino bloccato durante un pattugliamento di routine a Sesto San Giovanni dopo avere attraversato indisturbato quattro Paesi.
La preoccupazione non riguarda solo il rischio di attentati: le valutazioni dell’intelligence tengono conto pure del clima politico di questi mesi. Perché gli assalti dell’ultimo anno – che fossero opera di squadre organizzate o di lupi solitari – avevano un obiettivo politico: scatenare la reazione contro gli immigrati, spingendo così le comunità musulmane a radicalizzarsi.
In Francia nonostante le stragi di Parigi e Nizza questo non è accaduto e anche le autorità tedesche sono riuscite a contenere la xenofobia dopo il massacro del mercatino di Natale: non c’è stata la caccia allo straniero. È vero, in quelle nazioni la prova più importante saranno le prossime elezioni, al momento però i kamikaze hanno mancato il bersaglio più importante: davanti agli attacchi, l’Europa non ha rinunciato ai suoi valori democratici e non ha tradito i principi di solidarietà.