P. Iyad twal è il decano della Facoltà per gli studi religiosi e docente di religione cristiana. Durante il corso sul dialogo interreligioso si creano legami di amicizia fra studenti e con i docenti. L’esempio di come la religione sia “strumento di pace”. L’auspicio è ampliare il programma estendendolo a tutti gli atenei della Terra Santa, coinvolgendo “dal lato umano” cristiani, musulmani, ebrei.
Gli studenti in un primo momento “si iscrivono pensando al voto, per alzare la media in vista della laurea. Con il passare del tempo scoprono però che il corso va oltre il voto, oltre la laurea, perché è un insegnamento per la vita”. Così il 42enne p. Iyad twal, da tre anni decano della Facoltà per gli studi religiosi dell’Università cattolica di Betlemme, descrive ad AsiaNews il corso sul dialogo interreligioso rivolto a studenti cristiani e musulmani. “Nelle lezioni – racconta il sacerdote – vogliano fornire una migliore conoscenza dell’altro, secondo una prospettiva positiva, dando una testimonianza vera e onesta, sia da cristiani che da musulmani”. Quello di Betlemme è il solo ateneo che propone un corso di questo genere e, stando anche al parere degli studenti e delle loro famiglie, è “un passo avanti nella convivenza e nella missione. In questo caso, si può affermare che la religione diventa parte della soluzione e strumento di pace per questa terra”.
L’Università cattolica di Betlemme è nata dietro precisa intuizione di papa Paolo VI nel 1973 e oggi, a distanza di 40 anni, accoglie migliaia di studenti nelle cinque facoltà, che spaziano dall’economia alla medicina. Al suo interno è attivo da qualche anno un corso dedicato al dialogo interreligioso, frequentato da studenti cristiani e musulmani, anche di altre facoltà, che presenta le basi della fede delle due grandi religioni. Non con una prospettiva accademica, ma mettendo in evidenza il lato umano, i punti di contatto, gli elementi di pace e convivenza di cui entrambe sono portatrici.
Il corso è articolato in cinque sessioni per ogni semestre, ognuna delle quali ospita sino a 45 studenti. Si tengono tre ore di lezione a settimana, per un totale di 16 settimane; esso è suddiviso in due parti, una curata da un docente cristiano e da un insegnante musulmano. I due corsi, sul cristianesimo e l’islam, sono separati ma vi sono anche incontri in cui si affronta un tema in comune. “Prima di Natale – spiega p. Iyad – abbiamo fatto un incontro pubblico con tutti gli studenti, affrontando il tema della resistenza pacifica nell’islam e nel cristianesimo”.
Si tratta di corsi aperti a tutti, frequentati dalla grande maggioranza dei giovani universitari pur essendo facoltativo ai fini della laurea. E attira l’attenzione non solo degli iscritti al Dipartimento studi religiosi, ma “pure fra ragazzi e ragazze di infermieristica, scienza, etc”.
Alla base del corso, i cui primi passi sono stati mossi 12 anni fa, l’idea di aiutare cristiani e musulmani “a conoscersi meglio”, sottolinea p. Iyad, vincendo “pregiudizio e ignoranza” che molte volte ostacola l’incontro. Del resto vi sono anche problemi ti natura concreta – i cristiani vivono soprattutto nei grandi centri, i musulmani dei villaggi spesso non hanno occasioni di incontro – che non facilitano gli scambi. “Noi vogliamo dare ai giovani di entrambe le fedi – aggiunge – la possibilità di capire la religione dell’altro, non col proposito di evangelizzare o fare paragoni, ma solo per spiegare, presentare, raccontare ciascuno la propria fede come crede… una testimonianza!”
Come sottolinea il decano della Facoltà per gli studi religiosi, i corsi servono innanzitutto per vincere pregiudizi e ignoranza. Al riguardo il sacerdote racconta alcuni esempi concreti: “I musulmani si chiedono come sia possibile che Gesù sia figlio di Dio, come Dio possa aver fatto sesso con Maria… non capiscono – racconta p. Iyad – e noi illustriamo il concetto dell’Immacolata concezione della Trinità. Ecco che così capiscono il dogma, si schiariscono le idee, si abbattono muri e ignoranza. E poi ai musulmani piace l’idea di un Dio che sia amore”.
Un altro elemento ricorrente nei corsi è l’appartenenza comune alla Terra Santa, “noi tutti siamo cittadini di questa terra. Ed essere un cittadino di questa terra – avverte – vuol dire anche accettare che le tre religioni monoteiste sono di questa terra. Un cittadino deve conoscere la storia, e dentro la storia ci sono le tre religioni. Non vi sono infedeli, non vi sono anomalie”.
Come emerso da un sondaggio svolto prima di Natale fra gli studenti, questo corso a molti “ha cambiato la vita” e oggi, aggiunge il sacerdote, vi sono diversi giovani (anche musulmani) che “vengono da me per una direzione spirituale, per confidarsi, mi chiamano padre [Abouna, ndr] perché si sentono vicini a noi. All’inizio sono freddi, poi con il progredire delle lezioni si formano dei bei legami”. L’auspicio, conclude p. Iyad, è che “non sia un programma limitato a Betlemme, ma venga esteso a tutte le università della Terra Santa, in Palestina e in Israele, “che non sia troppo accademico ma abbia un lato umano, abbracciando tutte e tre le religioni e frequentato da studenti cristiani, musulmani ed ebrei”.
Redazione Papaboys (Fonte www.asianews.it)
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