Sono i verdetti collettivi inflitti dai tribunali in Egitto e Nigeria la causa dell’aumento delle condanne alla pena di morte nel mondo. In questi due Paesi, in totale, le sentenze sono state oltre mille, mentre nel mondo sono state 2.466, il 28% in più rispetto al 2013, e questo – spiega Amnesty – nel tentativo “futile di contrastare criminalità, terrorismo e instabilità interna”, in nome quindi della sicurezza dello Stato, precisa l’organizzazione, che da sempre combatte contro quella che definisce la falsa teoria della deterrenza.Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:
“E’ un segnale molto grave. L’esperienza dell’India, che ha ripristinato la pena capitale di recente, a seguito di una ondata di casi orribili di stupro, dimostra quanto la pena di morte non serva veramente a nulla, giacché in quel Paese purtroppo gli stupri non sono affatto diminuiti. Il Pakistan, dopo l’attentato orribile dei talebani contro una scuola a Peshawar, ha sospeso la moratoria con sette esecuzioni a dicembre e, addirittura, una sessantina nei primi tre mesi di quest’anno. La Giordania ha avuto un periodo di crisi legato anche alla vicenda del pilota preso in ostaggio e ha attraversato un anno di ritorno della criminalità. In tutti questi casi, però, è stato dimostrato che la pena di morte non serve e, se possibile, in situazioni di instabilità e tensione rende quell’instabilità e quella tensione ancora più forti. Nell’Egitto di questo ultimo anno sono riprese le esecuzioni e ci sono state soprattutto 509 condanne nei confronti di presunti esponenti o reali esponenti della fratellanza musulmana, tutti condannati per terrorismo, in processi nei quali spesso le responsabilità individuali non sono state chiarite”.
607 le esecuzioni, che fanno scendere del 22% quelle dell’anno precedente, oggi i Paesi che applicano la pena di morte sono 22, come nel 2013, ossia il 10% del totale della comunità internazionale. I numeri forniti da Amnesty, così come anche gli altri anni, non comprendono la Cina, che da sola conta più esecuzioni che tutti gli altri luoghi nel mondo, Paese dove ogni anno sarebbero migliaia le persone messe a morte, ma dove l’effettivo numero è da sempre segreto di Stato:
“Quello che sappiamo è che le esecuzioni sono migliaia ogni anno. Nel 2014 abbiamo anche registrato dei processi terminati con condanne a morte in pubblico, dei processi per reati di terrorismo, soprattutto nello Xinjiang. Quello è un altro caso in cui l’instabilità e anche la violenza politica vengono represse a colpi di condanne a morte con risultati del tutto deficitari per la sicurezza del Paese”.
Oltre alla Cina, i paesi capolista sono l’Iran (289), l’Arabia Saudita (almeno 90), l’Iraq (circa 61), e gli Stati Uniti (35). In molti Paesi condanne a morte sono state eseguite per reati non legati a fatti di sangue, ma di tipo economico, legati alla droga, così come, denuncia ancora Amnesty, “per atti che non dovrebbero essere neanche considerati reati, come l’adulterio, la blasfemia, la stregoneria”. La “pena di morte è inammissibile”, aveva ripetuto solo pochi giorni fa Papa Francesco, “per quanto possa essere grave un delitto commesso da un condannato”. Rappresenta inoltre il fallimento di uno Stato “perché obbliga ad uccidere in nome della giustizia” che, essendo umana, tra l’altro può essere “imperfetta” o “può sbagliare”:
“Se in questi anni il numero dei Paesi che alle Nazioni Unite hanno espresso voto favorevole per la moratoria sulle esecuzioni è aumentato, se è arrivato a 140 il numero dei Paesi che in un modo o nell’altro hanno rinunciato alla pena di morte, questo lo si deve anche alle parole del Santo Padre e dei suoi predecessori. Certo sono ispirazioni importanti per il movimento abolizionista. Poi, c’è il lavoro delle organizzazioni per i diritti umani, ci sono scelte sagge fatte dai governi, anche a volte in contrasto con la volontà popolare, ammesso che poi i sondaggi la esprimano veramente”.
La pena di morte, lentamente e fortunatamente, sta perdendo terreno, conclude Amnesty, che per il 2015 vede già il superamento della soglia dei cento Paesi del tutto abolizionisti, che oggi sono 99: saranno infatti il Suriname e il Madagascar nei prossimi mesi a far superare questo traguardo.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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