Il libro della Genesi racconta che dopo ogni giorno di creazione Dio vide che “era cosa buona” (Gn 1,12), e aggiunge che dopo la creazione dell’uomo vide che essa “era cosa molto buona” (Gn 1,31). Le vacanze, il riposo, sono un momento privilegiato per imparare a dire della natura, degli altri, di sé stessi, che sono, che siamo, “cosa molto buona”. Sì, dobbiamo dirlo anche di noi stessi. Ciascuno di noi deve imparare a dirlo anche di sé stesso. Esiste un “amor per sé” buono, diverso dal malefico lemure che dopo il peccato originale gli appare accanto come un’ombra ogni volta che ci vediamo “molto buoni”. Chiamo l’amore cattivo per sé stessi “amor proprio” e metto in quella casella tutto ciò che di egoistico, mal sano, superbo, vizioso, concerne la corruzione della bontà originaria, la corruzione cioè di quel primo sguardo di felicità che fece trasalire Dio quando vide le sue creature e, in particolare, quando vide l’uomo. Così spiegato il retto “amor per sé”, non ho paura di dire anch’io che le vacanze sono il momento giusto per provare “a pensare a sé stessi” come dicono tutte le riviste e i programmi Tv. La vacanze sono il tempo per me ma troverò tempo per me se penso di essere una bella persona (che vuol dire anche buona). C’è tutta una teologia spicciola in tuta e ciabatte che fa del corpo un orpello e che è di ostacolo a chi guarda all’essenziale – cioè allo spirito – ma io non sono daccordo. Una rivista che parla di salute, unghie e doppiepunte dei capelli comprese, passando per una gustosa ricetta e la segnalazione di una splendida spiaggia e di buone letture, parla al mio spirito e mi avvicina a Dio quanto un ritiro spirituale. Dio non vuole solo la mia anima, vuole me. Ed è giusto, anzi è bello, che una donna voglia arrivarci con i capelli in ordine e un uomo voglia incontrarLo con una birra ghiacciata nella piazzetta di un borgo segnalato con bandiera blu.
Ma allora perché tante volte – davvero tante – ci organizziamo vacanze in cui il frastuono e l’ingorgo fisico ed emotivo sono all’ordine del giorno? Forse è perchè non ci piaciamo tanto e non pensiamo che valga tanto la pena riscoprirci, ritrovarci. Forse è perché siamo convinti che è meglio starsene fuori da noi stessi. Ecco perchè alla fine non faremo vacanze vere: non perché non abbiamo tempo ma perchè non abbiamo noi stessi, non ci piaciamo e allora una pizza interiore con noi stessi non ce la vogliamo regalare. Lo so di fare un discorso che sembra il contrario di quello che ci si aspetta da un prete ma sono convinto che il retto intendimento del cristianesimo non induca a ritenersi un ricettacolo di nefandezze ma spinga a scoprirsi creature e figli del Padre. E pertanto, sì pieni di difetti e vizi e peccati, ma anche pieni di doni e con una promessa di Qualcuno che è all’inizio della nostra storia e della nostra vita. Un promessa che va guardata – proprio durante le vacanze – per essere cercata con speranza nei mesi successivi, quelli del ritorno a casa. Non è mai una bella idea pensare alle vacanze, al tempo libero, come ad un’evasione. Non si può vivere bene da braccati, da fuggitivi, fossimo anche nel più bello dei resort. La fatica del trovare sè stessi non è quella di andare lontani ma di vedersi creature e figli. Scopriremo così che non c’è bisogno di cercare molto perché “me stesso” è qui, ora, con me, sempre. Mi aprirà lui la porta della mia nuova casa, troverò lui alla scrivania del mio nuovo posto di lavoro, aprirà lui le mie valige al ritorno del viaggio che, se fatto così, mi ha cambiato la vita perché ho trovato il vero tempo per me. Leggo che Giovanni Paolo II aveva il “segreto del raccoglimento”. Lo conosceva e lo viveva quotidianamente. Riusciva a trovare anche in pochi minuti il tempo per raccogliersi in silenzio. Ecco un uomo che aveva un mondo interiore da abitare e quindi non aveva voglia di viversi come una fuga, un’evasione, ma proprio come una casa interiore da cui usciva ed entrava fisicamente ma la cui presenza rigenerante e identitaria lo accompagnava sempre. Per questo sciava sull Adamello o in incognito al Terminillo e, da giovane, andava in canoa sui fiumi dell’amata Polonia.
Eccola quindi la vacanza che voglio, eccolo il tempo che voglio trovare per me: è il tempo e la vacanza in cui sto con una persona che Dio ama molto e quindi dovrei imparare ad amarla anch’io. E voglio conoscerla e amarla di più. Se per amare qualcuno, infatti, dovrò dargli la vita, voglio preparargli un bel regalo. Proviamoci. Proviamoci anche se mille volte non ci siamo riusciti. Proviamoci lo stesso. Perchè siamo uomini e donne di speranza. Sì, penso proprio alla speranza, alla virtù teologica. La speranza, quando esce dai libri di catechismo, diventa la voglia di provarci. Non è mischiare sacro e profano, è vivere la propria vita umana come unità di vita.
Di Don Mauro Leonardi
Tratto dal numero 653/4 di Studi Cattolici – Maggio 2015 – alle pp. 533-534 , nella categoria Spiritualità.