Ma allora perché tante volte – davvero tante – ci organizziamo vacanze in cui il frastuono e l’ingorgo fisico ed emotivo sono all’ordine del giorno? Forse è perchè non ci piaciamo tanto e non pensiamo che valga tanto la pena riscoprirci, ritrovarci. Forse è perché siamo convinti che è meglio starsene fuori da noi stessi. Ecco perchè alla fine non faremo vacanze vere: non perché non abbiamo tempo ma perchè non abbiamo noi stessi, non ci piaciamo e allora una pizza interiore con noi stessi non ce la vogliamo regalare. Lo so di fare un discorso che sembra il contrario di quello che ci si aspetta da un prete ma sono convinto che il retto intendimento del cristianesimo non induca a ritenersi un ricettacolo di nefandezze ma spinga a scoprirsi creature e figli del Padre. E pertanto, sì pieni di difetti e vizi e peccati, ma anche pieni di doni e con una promessa di Qualcuno che è all’inizio della nostra storia e della nostra vita. Un promessa che va guardata – proprio durante le vacanze – per essere cercata con speranza nei mesi successivi, quelli del ritorno a casa. Non è mai una bella idea pensare alle vacanze, al tempo libero, come ad un’evasione. Non si può vivere bene da braccati, da fuggitivi, fossimo anche nel più bello dei resort. La fatica del trovare sè stessi non è quella di andare lontani ma di vedersi creature e figli. Scopriremo così che non c’è bisogno di cercare molto perché “me stesso” è qui, ora, con me, sempre. Mi aprirà lui la porta della mia nuova casa, troverò lui alla scrivania del mio nuovo posto di lavoro, aprirà lui le mie valige al ritorno del viaggio che, se fatto così, mi ha cambiato la vita perché ho trovato il vero tempo per me. Leggo che Giovanni Paolo II aveva il “segreto del raccoglimento”. Lo conosceva e lo viveva quotidianamente. Riusciva a trovare anche in pochi minuti il tempo per raccogliersi in silenzio. Ecco un uomo che aveva un mondo interiore da abitare e quindi non aveva voglia di viversi come una fuga, un’evasione, ma proprio come una casa interiore da cui usciva ed entrava fisicamente ma la cui presenza rigenerante e identitaria lo accompagnava sempre. Per questo sciava sull Adamello o in incognito al Terminillo e, da giovane, andava in canoa sui fiumi dell’amata Polonia.
Eccola quindi la vacanza che voglio, eccolo il tempo che voglio trovare per me: è il tempo e la vacanza in cui sto con una persona che Dio ama molto e quindi dovrei imparare ad amarla anch’io. E voglio conoscerla e amarla di più. Se per amare qualcuno, infatti, dovrò dargli la vita, voglio preparargli un bel regalo. Proviamoci. Proviamoci anche se mille volte non ci siamo riusciti. Proviamoci lo stesso. Perchè siamo uomini e donne di speranza. Sì, penso proprio alla speranza, alla virtù teologica. La speranza, quando esce dai libri di catechismo, diventa la voglia di provarci. Non è mischiare sacro e profano, è vivere la propria vita umana come unità di vita.
Di Don Mauro Leonardi
Tratto dal numero 653/4 di Studi Cattolici – Maggio 2015 – alle pp. 533-534 , nella categoria Spiritualità.
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