L’ultima proposta arriva dal vescovo di Orano, il domenicano francese Jean-Paul Vesco, che ha scritto un piccolo testo per spiegare l’esigenza di non mettere in relazione, in modo esclusivo, indissolubilità e matrimonio sacramentale. Visto che ogni amore di coppia, quando è autentico e profondo, porta in sè una traccia definitiva e incancellabile «non bisogna fondere in una sola e medesima idea unicità del matrimonio e indissolubilità di ogni amore coniugale». Un’idea dirompente – ma anche affascinante – per motivare le buone ragioni dei divorziati risposati a chiedere perdono. E la decisione della Chiesa di concederlo. Ogni vero amore è indissolubile (Queriniana, pagg. 108, euro 11) è solo l’ultima riflessione dell’ampio dibattito avviato in vista del Sinodo di ottobre sul tema dei divorziati risposati.
Una discussione sollecitata dallo stesso questionario diffuso dalla Segreteria generale del Sinodo insieme ai cosiddetti Lineamenta.
La domanda numero 38, in considerazione della necessità di «un ulteriore approfondimento» della pastorale sacramentale nei riguardi dei divorziati risposati, chiedeva esplicitamente in «quali prospettive muoversi? Quali i passi possibili? Quali suggerimenti per ovviare a forme di impedimenti non dovute o non necessarie?». E citava in modo esplicito sia la prassi ortodossa – che com’è noto offre la possibilità di un secondo matrimonio non sacramentale al termine di un percorso penitenziale – sia la distinzione tra forme oggettive di peccato e circostanze attenuanti. Ora, a pochi giorni dalla pubblicazione dell’Instrumentum laboris, che farà sintesi di tutte le risposte arrivate dai cinque continenti e servirà come base per la discussione, non appare inutile ricordare alcuni dei molti saggi che – all’indomani della proposta di rinnovamento formulata dal cardinale Walter Kasper al concistoro del febbraio 2014 – hanno affrontato il rapporto, complesso e spesso faticoso, tra indissolubilità e matrimonio.
Ad avviare il dibattito, per limitarci agli ultimi mesi, Andrea Grillo, docente di teologia sacramentaria e padre di famiglia, che nel suo Indissolubile? Contributo al dibattito sui divorziati risposati (Cittadella, pagg. 90, euro 9,80), ha proposto di riammettere i divorziati risposati alla Comunione in circostanze determinate e non come prassi generale, introducendo il concetto della “morte del vincolo”. Una formula che permetterebbe il riconoscimento delle seconde nozze senza fondarsi sulla “inesistenza originaria” del primo matrimonio.
Anche padre Oliviero Svanera, francescano, docente di teologia morale, ha ripreso lo stesso tema in un testo – Amori feriti. La Chiesa in cammino con i divorziati risposati (Edizioni Messaggero Padova, pagg. 154, euro 14) – in cui accanto a numerose testimonianze di separati, apre alla possibilità di nuove aperture, spiegando che «l’eucaristia è nutrimento dei deboli, non dei forti, rimedio e sostegno delle fragilità, non cibo per chi si sente giusto e arrivato».
Di grande spessore teologico il contributo offerto dal cardinale Dionigi Tettamanzi nel suo Il Vangelo della misericordia per le “famiglie ferite” (San Paolo, pagg. 173, euro 9,90), che motiva non solo come “pensabile” ma anche “plausibile” la ricezione dei sacramenti della penitenza e dell’eucarestia da parte dei divorziati risposati, guardando al sacramento come segno della misericordia di Dio, a patto però che «si eviti assolutamente qualsiasi confusione sull’indissolubilità del matrimonio».
La stessa posizione sintetizzata qualche mese dopo dai coniugi tedeschi Heidi e Thomas Ruster – lui teologo lei consulente familiare – che in Finché morte non vi separi? L’indissolubilità del matrimonio e i divorziati risposati. Una proposta (Elledici, pagg. 195. euro 15), con la prefazione del cardinale Karl Lehmann, suggeriscono di risolvere la questione riconoscendo le seconde nozze come «non sacramentali».
Di Luciano Moia per Avvenire