“Al Qaeda ha lasciato la sua impronta”. Non hanno dubbi i servizi di sicurezza dello Yemen, nel ricostruire la matrice dell’ultimo duplice attentato anti sciita nella provincia centrale di Al Bayda, ricordato anche da Papa Francesco nelle sue preghiere all’udienza generale. Due kamikaze a bordo di altrettante auto si sono lanciati prima contro uno scuolabus fermo a un posto di blocco, uccidendo almeno 15 bambini delle elementari, e poi nei pressi dell’abitazione di un leader locale, con un bilancio di altre 10 vittime. Nel Paese da tempo si assiste ad una violenta contrapposizione tra Al Qaeda, organizzazione terroristica a maggioranza sunnita, e miliziani sciiti Houthi che negli ultimi mesi hanno conquistato la città di Rada, sull’onda di una vasta offensiva scatenata dalla loro roccaforte nel nord, Saada. A settembre i miliziani hanno preso il controllo della capitale Sanaa e da lì continuano ad avanzare nel centro e nell’ovest del Paese. Giada Aquilino ha intervistato Renzo Guolo, docente di sociologia dell’Islam all’università di Padova:
Sciiti bersaglio di Al Qaeda
R. – Ancora una volta, come in altri contesti, purtroppo le vittime sono gli innocenti: in questo caso bambini. Si va a colpire un bersaglio che suscita un enorme impatto emotivo e anche mediatico. Allo stesso tempo, purtroppo, agli occhi degli attentatori – probabilmente qaedisti sunniti – questi non erano bambini, ma appartenenti ad una comunità religiosa specifica, quella degli sciiti, che oggi stanno sempre più guadagnando terreno all’interno del conflitto che divide da tempo lo Yemen e che come tali sono quindi considerati, indipendentemente dall’appartenenza di sesso e di età. Quindi il bersaglio erano gli sciiti: che poi questi fossero degli innocenti, agli occhi di chi persegue un preciso obiettivo strategico – di alimentare la conflittualità e di colpire duramente il nemico – poco importa.
D. – Viene da chiedersi come sia possibile uccidere dei bambini e poi annoverare tali violenze in una sorta di nuovo tragico capitolo della contrapposizione tra Al Qaeda, a la maggioranza sunnita, e miliziani sciiti…
R. – Il carattere di questo drammatico conflitto, che si traveste da simbologia religiosa, è sostanzialmente quello determinato dal fatto che gli sciiti sono considerati dai qaedisti sunniti come una sorta di eretici, di apostati: sono fondamentalmente considerati miscredenti e infedeli, al di là della loro proclamata appartenenza ad un ramo pur minoritario dell’Islam. Questa è la grande tragedia del tempo: il fatto che l’identità altrui venga considerata una sorta di passaporto per la sua eliminazione fisica, quando non coincide con la visione radicale: una sorta di nemico da eradicare completamente dal panorama, in quanto ostacolo all’affermazione del proprio progetto politico e religioso.
Ruolo di Arabia Saudita e Iran
D. – Che realtà sono poi di fatto Al Qaeda e le milizie Houthi?
R. – Al Qaeda è il ramo, in questo caso, dell’Aqap e cioè della branca che sta nella Penisola Arabica: comprende soprattutto fuoriusciti dall’Arabia Saudita e alcuni yemeniti locali, che combattano sostanzialmente avendo un duplice sguardo rivolto verso lo Yemen, ma anche a quanto accade in Arabia Saudita, nel senso che hanno trovato comunque rifugio nell’estremità meridionale della Penisola Arabica. Dall’altro lato, invece, le milizie Houthi sono sciite: gli sciiti sono sempre stati sostanzialmente emarginati dai regimi locali, sunniti, e quindi rivendicano un proprio spazio di autonomia politica e un mutamento di potere che potrebbe tradursi non solo nella conquista del potere dello Stato centrale, ma anche in una frantumazione territoriale. Però su questo ci sono interessi convergenti. Per capirci: l’Arabia Saudita è impegnata oggi in una dura lotta contro i qaedisti sul piano interno, ma ostacola gli sciiti in quanto li vede come stretti alleati dell’Iran, che è a livello macro-regionale il suo nemico principale nel Golfo. Quindi abbiamo un duplice conflitto che riguarda sunniti e sciiti, ma anche le potenze confessionali, o che si sono erette a tali come protettrici delle popolazioni sunnite locali, dentro un contesto in cui lo scontro riguarda anche il conflitto tra l’Arabia Saudita e l’Iran, che si svolge sia nel Golfo, sia – come sappiamo oggi – tra Siria ed Iraq.
Islam senza gerarchie
D. – Il Papa, a proposito di quanto accaduto in Australia, in Pakistan e nello Yemen, ha pregato perché si convertano i cuori dei violenti. Quanto sono importanti questi appelli, queste prese di posizione al di là del credo religioso, proprio davanti a contrapposizioni come – ad esempio – quella che c’è in Yemen?
R. – Sono sicuramente importanti perché fanno riferimento ad una comune natura umana, si potrebbe dire. Nel caso dell’Islam c’è però un problema, che è legato proprio alla sua natura e alla sua organizzazione socio-religiosa: l’Islam è una religione senza centro, non c’è una gerarchia. E questo ha delle conseguenze, perché si è sviluppato all’interno del mondo islamico, in questi ultimi decenni, un movimento che tende ad interpretare e a mettere in discussione la tradizione religiosa attraverso una lettura diretta dei testi e attraverso una lettura spesso anche distorta dei testi, come nel caso dei gruppi islamisti radicali. Quindi questo mette in crisi le autorità religiose musulmane tradizionali, che non riescono ad imporre, in qualche modo, quello che un tempo veniva chiamato il consenso della comunità, l’interpretazione della dottrina.