(Alessandro Notarnicola) “Io sono Giuseppe vostro fratello”. Con queste parole di origine biblica Papa Giovanni XXIII il 17 ottobre del 1961 (giorno in cui si commemora il rastrellamento del ghetto romano del 1943) incontrò nella sua casa in Vaticano un gruppo di centotrenta ebrei provenienti dagli Stati Uniti per ringraziarlo per la sua opera a favore del riconoscimento dello Stato d’Israele dopo il secondo conflitto mondiale. Angelo Giuseppe Roncalli nel corso delle due missioni diplomatiche in Bulgaria e in seguito, dal 1934, in Turchia, con l’incarico di Delegato Apostolico e di Amministratore apostolico del Vicariato apostolico di Istanbul, si impegnò in maniera infaticabile compromettendo la sua stessa persona dinanzi alle autorità tedesche intervenendo a favore degli ebrei in fuga dagli stati europei caduti sotto l’assoluto controllo di Hitler e del Terzo Reich.
Chi in quegli anni era vicino a lui ha detto che il suo telefono non aveva pace, squillava notte e giorno, e che spesso il parroco di Sotto il Monte incontrava di notte persone che certamente avrebbero potuto aderire alla sua opera cristiana di carità e di riedificazione dei cuori.
I dossier ufficiali della Santa Sede finora accessibili e soprattutto i suoi diari personali consultabili, documentano chiaramente come il futuro Pontefice ebbe più volte incontri significativi con le organizzazioni ebraiche e i gruppi di profughi in fuga dai nazisti nel corridoio neutrale della Turchia, soprattutto fuggiaschi dalla Slovacchia, intenzionati ad arrivare in Palestina.
La Turchia, durante gli anni delle persecuzioni naziste, rappresentava una terra di salvezza per molti ebrei, per tale ragione Roncalli, guidato dal suo motto episcopale di Oboedientia et Pax, si attivò perché il Vaticano si mettesse in moto a favore delle vittime del nazismo; lui stesso compì azioni di salvataggio e offrì assistenza alla Jewis Agency, adoperandosi per far ottenere i visti di transito agli ebrei, grazie anche all’appoggio delle autorità locali, tra le quali l’ambasciatore di Germania ad Ankara, il cattolico Franz von Papen, ex cancelliere del Reich.
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Parlavamo del modo migliore per garantire la neutralità della Turchia. Eravamo amici. Io gli passavo soldi, vestiti, cibo, medicine per gli ebrei che si rivolgevano a lui, arrivando scalzi e nudi dalle nazioni dell’Est europeo, man mano che venivano occupate dalle forze del Reich. Credo che 24mila ebrei siano stati aiutati a quel modo», ha detto l’ex cancelliere del Reich. Ventiquattromila ebrei, tra loro anche i bambini a bordo della nave proveniente dal porto di Costanza “miracolosamente” sfuggita ai controlli delle autorità e approdata nel Bosforo. La Turchia, in ossequio alle regole della neutralità, avrebbe dovuto rimandare quei bambini in Germania, ma il rappresentante della Chiesa di Roma, che i cattolici turchi chiamavano affettuosamente Diado, Padre buono, riuscì a convincere Ankara e lo stesso ambasciatore tedesco che sarebbe stato un crimine. Poco dopo Roncalli aprirà a Istanbul il Focolare della Divina Provvidenza, ufficio per i prigionieri di guerra e sfruttando la rete di amicizie maturata in tanti anni vissuti all’estero spinse la propria iniziativa oltre i confini turchi appoggiato dalla Chiesa di Roma e dallo stesso Papa Pio XII che racchiuso dentro le mura vaticane riuscì a mettere in piedi una rete di soccorso e solidarietà con la complicità dei vescovi e dei delegati apostolici di tutta Europa.
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Poveri figli di Israele. Io sento quotidianamente il loro gemito intorno a me. Li compiango e faccio del mio meglio per aiutarli“, scriveva nel Giornale dell’Anima l’allora Roncalli e ancora in un brano del suo diario riguardo ad un’Udienza con Pio XII del 10 ottobre 1941 scriveva: «[il papa] si diffuse a dirmi della sua larghezza di tratto coi Germani che vengono a visitarlo. Mi chiese se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male». Il Pastor Angelicus davanti alla furia nazista che assediava l’intera Europa e lo stesso Vaticano dal 1943 (quando le truppe tedesche occuparono Roma), scelse la forza del silenzio e l’efficacia dell’azione; infatti la rinuncia alle condanne plateali che avrebbero certamente reso il Vaticano più “sorvegliato speciale” di quanto già lo fosse, servì innanzitutto a nascondere in un cono d’ombra l’azione silenziosa di quanti — conventi, parrocchie, nunziature, opere pie, ordini religiosi, lo stesso Vaticano — in quegli anni cercarono di salvare in ogni modo e con ogni sotterfugio le vittime destinate a morte certa nei campi di lavoro e di concentramento tedeschi. Roncalli inoltre il 30 maggio del 1943 si era interessato anche della situazione in Croazia così inviò un telegramma alla Segreteria di Stato chiedendo l’intervento immediato per un gruppo di 400 profughi ebrei croati internati nel campo di concentramento di Jasenovac, tra i quali figuravano anche il presidente della comunità ebraica di Zagabria Ugo Konn e il rabbino capo Miroslav Šalom Freiberger.
L’opera di Mons. Roncalli a favore degli ebrei proseguì dunque per l’intera durata del conflitto e quando iniziarono le deportazioni tedesche e le esecuzioni in massa in Ungheria, la sua attiva collaborazione con il diplomatico svedese Raoul Wallenberg consentì a migliaia di ebrei la salvezza. Venuto a conoscenza che per mano di Wallenberg migliaia di ebrei fossero riusciti a varcare il confine dell’Ungheria trovando riparo nelle terre bulgare, Roncalli indirizzò una lettera al Monarca Boris III (conosciuto, assieme alla consorte Giovanna di Savoia, nel periodo in cui per dieci anni era stato Nunzio apostolico in Bulgaria), esortandolo a non cedere all’ultimatum di Hitler che ordinava di rispedire indietro i fuggiaschi. Le famiglie in fuga raggiunsero la Palestina e in seguito le Americhe, e quei giorni trascorsi da prigionieri senza terra e privi di una qualche identità nel treno senza rifornimenti e senza acqua non sono riusciti a dimenticarli tanto che nel 1961 una rappresentanza ebraica alla cui testa vi era il rabbino Herbert Friedam si recò in Vaticano per ringraziarlo per sua coerente e cristiana opera antisemita e di “fratello del popolo ebraico” e in quella occasione il pontefice disse:
«Sono io vostro fratello. E’ profonda la differenza fra chi ammette soltanto l’Antico Testamento e chi a quello aggiunge il Nuovo, come legge e guida suprema. Ma questa distinzione non sopprime la fraternità che deriva dalla stessa origine. Siamo tutti figli dello stesso Padre … Veniamo dal Padre, dobbiamo ritornare al Padre».
Quando sul suolo europeo imperversava sotto gli occhi di tutto il dramma dell’Olocausto, Roncalli scrisse che la radice dei mali di quel periodo stava nell’abbandono degli insegnamenti evangelici e nel nazionalismo esasperato. Il 17 marzo 1962, Papa Giovanni XXIII, percorrendo in auto il Lungotevere, si trovò davanti alla sinagoga di Roma. Fece fermare l’automobile e benedisse un gruppo di ebrei che stava uscendo dal tempio. Il rabbino Toaff, testimone oculare dell’accaduto, ricordò che «dopo un momento di comprensibile smarrimento, gli ebrei l’avevano circondato applaudendolo entusiasticamente. Era infatti la prima volta nella storia che un papa benediceva gli ebrei, ed era forse quello il primo vero gesto di riconciliazione».
In Italia dal 1989 si celebra il 17 gennaio la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo cattolici-ebrei. La Fondazione Raoul Wallenberg ha raccolto documenti e prove tangibili sugli interventi di Roncalli durante la Shoah, che ha presentato al museo Yad Vashem, accompagnando il fascicolo con una forte raccomandazione affinché Roncalli sia riconosciuto come «Giusto tra le Nazioni».