Anniversario del ‘grido’ di Giovanni Paolo II contro i mafiosi nella Valle dei Templi, con la stesura di un messaggio al popolo siciliano da parte dei vescovi. Stringendo il crocifisso e alzando il dito verso il cielo, davanti a migliaia di giovani giunti da ogni parte, Wojtyla il 9 maggio 1993 si rivolse ai mafiosi: “Convertitevi, una volta verra’ il giudizio di Dio”.
“Questo popolo, popolo Siciliano talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria civiltà della morte lo dico ai responsabili convertitevi una volta verrà il giudizio di Dio.” Papa Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla)
Il 9 maggio 1993 è passato alla storia per la prima storica invettiva di un Papa contro Cosa Nostra. La gridò Wojtyła ad Agrigento. «Si compie in modo inequivocabile il grande passo chiesto con le loro lettere da Agnese Borsellino e Maria Falcone e, con la loro commozione, dai genitori del giudice.
«Lo dico ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio». Parole di fuoco quelle che Papa Wojtyła pronuncia contro la mafia, ad Agrigento, il 9 maggio 1993 (per la verità dall’audio risulta chiaro che Giovanni Paolo II aveva detto: «Una volta verrà il giudizio di Dio». Ma, si sa, il giorno della sua elezione aveva anche sottolineato: «Se sbaglio, mi corriggerete», e così la sala stampa vaticana nella trascrizione fornisce l’interpretazione autentica).
Il giorno dopo il ministro dell’Interno di allora definisce quelle parole «un fatto rivoluzionario».
Per essere più precisi: «Scendere tra la gente e chiedere alla gente il massimo di collaborazione da quella altezza spirituale, credo che sia il fatto rivoluzionario di questo mese di maggio». Il ministro che rilascia questa dichiarazione di nome fa Nicola Mancino.
Papa Wojtyła, molti lo ricorderanno, viveva più in aereo che in Vaticano. Era appena tornato dal primo viaggio nell’Albania post comunista, quando ne compie un altro in Sicilia. L’ultimo appuntamento con i fedeli isolani è ad Agrigento. Erano passati appena dieci mesi dall’attentato a Paolo Borsellino e il pontefice si getta in un discorso improvvisato che si rivelerà un vero e proprio anatema contro la mafia. Le parole pronunciate sono inequivocabili: «Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane devono capire, devono capire che non è permesso uccidere gli innocenti. Dio ha detto “Non uccidere”. L’ uomo, qualsiasi umana agglomerazione o la mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano talmente attaccato alla vita, un popolo che ama la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà della morte. Lo dico ai responsabili. Convertitevi».
I gesti e i discorsi del Papa polacco suscitavano sempre reazioni molto forti, e pure in quest’occasione fu così.
«Per minacciare il giudizio di Dio sui mafiosi il Papa lancia in Sicilia un anatema senza appello, un grido accorato che resterà nella storia con le sue parole pronunciate di getto al tramonto, nella Valle dei Templi, a un popolo che applaude commosso, coinvolto, turbato da un monito spontaneo», scrive Felice Cavallaro nel Corriere della sera. E poi aggiunge: «Le telecamere proiettano nel mondo l’immagine di un Papa forte, di un padre severo dal pugno chiuso e dall’indice puntato, mentre alle sue spalle un sacerdote asciuga le lacrime, forse perché finalmente si compie in modo inequivocabile il grande passo chiesto con le loro lettere da Agnese Borsellino e Maria Falcone e, con la loro commozione, dai genitori del giudice Livatino accarezzati nel pomeriggio da Giovanni Paolo II». «Sono martiri della giustizia e indirettamente della fede», aveva detto il Papa riferendosi ai caduti sul fronte della lotta alla mafia.