Italiae et Ecclesia

Anniversario della morte di Don Oreste, «scarabocchio di Dio», santo degli ultimi

Aveva sette anni il piccolo Oreste il giorno in cui la maestra Olga parlò di tre figure: lo scienziato, l’esploratore e il sacerdote. Tornò da scuola e disse a sua madre «io farò il prete»: non un’infatuazione ma un innamoramento, che darà l’impronta a tutta la sua vita e farà di don Benzi una delle figure più straordinarie della Chiesa, l’«infaticabile apostolo della carità», come lo definirà Benedetto XVI.

Romagnolo, settimo di nove figli, a 12 anni entrò in seminario e i suoi genitori, per permettergli gli studi, chiesero l’elemosina. Un’esperienza che egli visse non come avvilente, ma anzi come prova di dignità e amore: «Questo fatto mi ha aiutato molto in seguito…».

Guarda il video realizzato in esclusiva dalla Comunità Papa Giovanni XXIII per Avvenire:

Un ’68 davvero incendiario

Dalla madre Rosa ereditò la forza della preghiera, dal padre Achille l’amore per i “piccoli”, gli emarginati, gli “scartati”. Il primo di questi era proprio suo padre: una sera tornò a casa e raccontò alla famiglia di aver aiutato un proprietario terriero a disincagliare la sua auto. Il ricco gli aveva dato una mancia di due lire e soprattutto po u’ma stret la mena!, diceva incredulo, «poi mi ha stretto la mano». A suo figlio invece si strinse il cuore: «Mio padre apparteneva a quella categoria di persone che reputano di non valere nulla, che chiede quasi scusa di esistere. Quando io incontro il povero, l’ultimo, il disperato, quelli che sono alla stazione, sul marciapiede, in me si rifà presente quella immagine di mio papà». Non dormiva mai più di tre ore per notte, per non perderne nemmeno uno. È stato il prete delle vere rivoluzioni sociali, tutte condotte da dentro la Chiesa, armato solo di tonaca e Vangelo.
Il “suo” ’68 fu incendiario nei fatti: in quell’anno fondò la Comunità “Papa Giovanni XXIII”, oggi diffusa nel mondo con 500 strutture di accoglienza. «Quanti giovani vecchi ho visto nella mia vita», diceva dell’altro

’68, quello delle ideologie senza fatti, «incendiari al liceo, ma poi al primo salario, entrati nelle stanze del comando, tutti pompieri. Il loro dorso diventava flessibile, dove si poteva fare carriera. Perché? Perché la loro rivoluzione era contro, non per».

 

“L’uomo non è il suo errore”

Il dorso don Oreste non lo ha mai piegato davanti ai potenti, soltanto per chinarsi a raccogliere il povero, il barbone, la prostituta, il drogato. Contro tutte le guerre, ha combattuto accanto ai primi obiettori di coscienza per la nonviolenza e con uguale spirito al fianco di migliaia di bambini destinati all’aborto: La t’è nde bin, «ti è andata bene!» diceva quando ne incontrava uno in braccio alla madre. «L’uomo non è il suo errore», ha rivelato ai carcerati, convincendoli che ricominciare si può sempre, e «nessuna donna nasce prostituta», ha detto liberandone settemila. E poi anziani soli, malati, zingari, stranieri, sbandati, drogati, disperati…

 

Un uomo del futuro

Le intuizioni più geniali furono la famiglia come terapia contro ogni sconfitta, e il metodo della condivisione diretta: «Date una famiglia a chi non ce l’ha» e «Non c’è chi salva o chi è salvato, ma ci si salva insieme», disse ai suoi, e così centinaia di giovani sposi accanto ai propri figli oggi accolgono bambini disabili, anziani abbandonati, quelli che nessuno vuole. Il senso è che non basta mandare aiuti, occorre «mettere la propria spalla sotto la croce altrui» e camminare insieme, vivere con i “piccoli” 24 ore al giorno, portarli a casa, renderli famiglia. Sembra impossibile, è vero, ma loro, a migliaia, lo rendono possibile tutti i giorni.

Il mistero dell’ultima cena

La notte del 25 settembre del 2007 don Oreste uscì dalla sua casa e bussò alla Capanna di Betlemme, la sua struttura per senzatetto: «Eccomi, sono un barbone». Vivrà con loro fino alla notte tra i Santi e i Morti, quando all’improvviso, dopo una festosa cena al ristorante dove misteriosamente aveva voluto invitare gli amici più cari (fatto mai avvenuto prima), chiuse gli occhi. «Domani siamo in marcia», rivelò all’amico Oscar Baffoni durante quella cena, con un mezzo sorriso, una battuta che avrebbe compreso ore dopo.

Presto beato




Erano in diecimila al suo funerale, i suoi “piccoli”, gli ex disperati, tutti con la luce negli occhi e un contagio di gioia nel cuore. «Don Oreste non è ancora stato proclamato santo – ha detto avviando la causa il vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi – ma è vissuto da santo pur senza mai ritenersi tale. Al cardinale Caffarra che gli aveva espresso il mio stesso pensiero, don Oreste rispose: no, eminenza, io sono solo uno scarabocchio di Dio». Della “Papa Giovanni XXIII” diceva «è come il calabrone: un insetto così tozzo e con le ali così piccole che per gli scienziati non avrebbe mai potuto volare. Eppure vola». E così realizza l’irrealizzabile.

Martedì 31 ottobre in migliaia a Rimini per ricordarlo

«Dieci anni con don Benzi». Don Oreste è salito al cielo il 2 novembre del 2007, nella notte tra i Santi e i Defunti, eppure per la Comunità “Papa Giovanni XXIII” da lui fondata questo non è stato un decennio senza, ma con lui al centro di ogni azione. «Siamo una comunità scalcagnata ma con un cuore che pulsa», amava ripetere, e il cuore ha continuato a pulsare nelle giornate di migliaia di volontari in 40 Paesi del mondo. Tante le iniziative del decennale, il clou al Palacongressi di Rimini martedì 31 ottobre con il convegno nazionale “Una vita per amare”, dove personaggi della cultura, dello spettacolo, del giornalismo e della vita ecclesiale racconteranno il “loro” don Oreste, in un contesto di mostre fotografiche, punti di ascolto, performance artistiche, filmati. Tra gli altri, testimonieranno il viceministro degli Esteri Mario Giro, Paolo Ramonda, Matteo Truffelli, Salvatore Martinez, Gigi de Palo, Anna Maria Furlan, Marco Impagliazzo, Matteo Spanò, Lorena Bianchetti, Paolo Cevoli, Beatrice Fazi (la diretta su Tv2000 dalle 15.30, condotta da Paola Saluzzi). In conclusione la Messa presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, e a seguire “La notte di don Benzi”, originale iniziativa sulle orme del sacerdote: «Ci esortava dicendo “siate santi” e proprio nella notte dei Santi, poche ore prima di morire, andò in una discoteca per parlare ai giovani – spiegano alla “Papa Giovanni XXIII” –. Così martedì notte porteremo gruppi di giovani all’incontro con i poveri là dove sono loro, tra i senza fissa dimora, le vittime della tratta, le persone in cammino per uscire dalla tossicodipendenza, i detenuti in pena alternativa…». Tutti quei “piccoli”, come li chiamava don Benzi, che rappresentano ogni forma di emarginazione.

“Andate giù tra gli ultimi. E poi ancora più giù…”

«Quando vi chiedono dov’è il vostro domicilio, voi rispondete: il nostro domicilio è tra i più bisognosi… e tra i più bisognosi siate tra i più bisognosi ancora, là in fondo», raccomandava ai suoi, e da questo ancora oggi li si riconosce. La sua causa di beatificazione, iniziata tre anni fa, è già giunta alla chiusura del processo diocesano.




Fonte avvenire.it

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