R. – Io ero troppo piccolo per fare dei grandi ragionamenti su quell’evento. In realtà mi ricordo benissimo quel giorno e la notizia che arrivò. Io avevo sei o sette anni, ma tenevo già per il “Grande Torino” e, come gran parte dei ragazzini che abitavano a Torino in quegli anni, eravamo pieni di entusiasmo e orgogliosi di questa squadra che effettivamente rappresentava il vigore, l’impegno sportivo e anche la capacità di ottenere dei buoni risultati che gli sportivi sanno indicare quando sono dei grandi campioni anche ai giovani della loro epoca. Quindi ricordo che questa notizia quel giorno piombò su di noi e su tutta la città come una nuvola nera, un momento di grandissima emozione e di grandissimo turbamento; la città rimase attonita e sconvolta. Noi guardavamo verso la collina di Superga esterrefatti, senza riuscire a renderci conto che poteva essere accaduta una cosa di questo genere. Certamente fu una scossa molto grande e, come sempre, il dolore fu profondissimo per tutta la città, ma anche per l’Italia, che fu colpita da questa tragedia. Ma ricordo anche che, in tempi molto brevi, si manifestò una grande volontà di riprendere e di continuare a raccogliere un’eredità di natura sportiva, ma certamente dal valore anche umano, che avevamo ricevuto da questa squadra così ammirata giustamente da tutti. Quindi una tragedia che, però, fu anche occasione di impegno morale, non solo sportivo, per continuare a raggiungere i risultati, a riprendere la vita del Paese, che si stava rialzando e ricostruendo dopo le gravi tragedie della guerra. Quindi una notizia terribile, una grande tragedia, un dolore profondissimo e sconvolgente, ma anche un’occasione per riaffermare la continuità di un impegno.
D. – Il grande Torino di Valentino Mazzola, forse caso unico di una squadra apprezzata non solo dai suoi sostenitori, ma da tutta Italia e forse da tutta Europa, anche se all’epoca non c’erano le coppe internazionali. Una squadra che, nonostante all’epoca si giocasse molto in difesa, invece aveva fatto dell’attacco la sua tattica di gioco …
R. – Percepivo questo valore di una squadra con cui ci si identificava molto profondamente, sia da parte dei ragazzi, dei giovani, ma anche della città e in un certo senso della stessa società italiana. Il tempo della ricostruzione, dopo la guerra, è stato un periodo in cui abbiamo potuto apprezzare moltissimo l’impegno puro, non ancora contaminato da esperienze negative di corruzione o di altro e quindi un impegno estremamente positivo, che poteva indicare orizzonti e ideali alla società che si rialzava dopo la tragedia della guerra.
D. – Un periodo quello in cui forse anche l’antagonismo con gli juventini era molto affievolito vista la grandezza di questa squadra; una Juventus che poi continua a vincere anche oggi e quindi il nome della città di Torino viene comunque tenuto alto …
R. – Sì, effettivamente c’è una grande tradizione sportiva dovuta a tutte e due le squadre con una sana rivalità, ma diciamo che a volte si manifesta in termini piuttosto intensi, ma mi auguro sempre rispettosi ed onesti.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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