Da giovane faceva il chierichetto, serviva la Messa e seguiva attentamente quel che gli diceva il suo parroco. Dei sacerdoti apprezza soprattutto la capacità di saper rendere concreto il Vangelo, calandolo nella vita quotidiana senza per questo dover trasformare la fede in un servizio saociale.
L’episodio del Vangelo che preferisce è la parabola del figliol prodigo, chissà se è perché un po’ ci si riconosce… Un cardinale, un vescovo, un monaco, un teologo? No, è l’allenatore della nazionale di calcio italiana, Antonio Conte, l’uomo che con la Juventus ha vinto tutto e che adesso si propone di fare entrare gli Azzurri nel novero dei record partendo dal presupposto (lo ha detto appena nominato) che per giocare a calcio serve anzitutto e soprattutto essere uomini.
Lo ha intervistato Laura Bellomi sulla rivista dei paolini Credere, ripresa anche in Spagna da Religión en Libertad, una bella testata cattolica online. Alla domanda cosa sarebbe stato se non avesse scelto il mondo del calcio, Conte risponde che in qualche maniera avrebbe fatto comunque l’educatore, perché quella è una cosa che lui si sente dentro, si porta nel sangue, una vera e propria chiamata cioè vocazione. E il calcio infatti lui lo intende esattamente così: educazione, a diventare uomini; che poi significa essere eroi sempre, nel piccolo, quotidianamente, anche se non si compiono imprese mirabolanti perché quel che conta è spendersi tutti in ciò che si fa. Solo così allora si possono pure fare imprese grandi. Come vincere una coppa, un campionato, un Mondiale che un po’ è come combattere una “guerra giusta” per un ideale nobile. E Conte tutto ciò lo fa non in obbedienza a una qualche astrusa e astratta “mistica guerriera” dal sapor romantico e pagano, ma perché è cattolico, profondamente.
«La fede», dice il Mister della nazionale, «aiuta a distinguere il bene e il male, a scegliere la via giusta nei momenti di difficoltà. Sono cresciuto a Lecce, l’oratorio Sant’Antonio a Fulgenzio è stato un punto di riferimento, un rifugio dalle tentazioni della strada. Fin da bambino i miei genitori mi hanno trasmesso un’educazione cattolica, ora sto facendo la stessa cosa con mia figlia Vittoria».
E quando l’intervistatrice gli domanda «Le è più facile ringraziare Dio per quel che ha o invocarlo nel bisogno?», Conte replica deciso: «Non invoco mai il Signore, lo ringrazio sempre, ogni sera, prima di andare a dormire. Prego la Madonna e tutti i santi, anche prima dei pasti faccio il segno della croce per ringraziare di quel che ho. Mi auguro di fare qualcosa che giustifichi tutto il bene che ho ricevuto». La vita, Conte, mica la prende a calci.
Redazione Papaboys (Fonte www.iltimone.org)
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