Categorie: Caritas et Veritas

Antonio Socci: chi può accusare gli altri di non essere San Francesco?

Never feed the troll. Non alimentare il troll, ignora il disturbatore. Questa, che è l’elementare regola da tenere sui social quando ti comincia ad impazzare contro un troll (un importuno) è la frase che più sento risuonare attorno a me quando chiedo agli amici cosa pensano di ‘Non è Francesco’ l’ultimo libro di Antonio Socci scritto contro il Papa.

Silenzio, non scrivere, parlarne male, è fargli pubblicità e ‘quelli’ non aspettano altro. ‘Quelli’ sarebbero un gruppo ben identificato – qui sì che non voglio far nomi – che per uscire dal poco conto che attribuisce loro il mondo laico aspettano che succeda qualcosa nella chiesa per azzannarla e contendersene delle parti. Io li chiamo ‘cattolici seri’ perché spesso quando parlano con me iniziano la frase proclamando: “Un cattolico serio non può permettere…”. Sì, perché i cattolici seri hanno solo da impedire, da criticare, da creare divisioni. In genere, se devono parlar male del Papa, rivolgono le loro attenzioni a qualcuno che, secondo i loro calcoli, si trova vicino a lui. Ma in questo caso Socci & C. sono stati belli espliciti: Papa Francesco Non è Francesco

.

Never feed the troll, mi dicono, ma io penso che nel giorno di San Francesco sia per me un dovere mettermi a fianco del giornalista e ricordargli semplicemente che il poverello di Assisi nel suo testamento scriveva: “Il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti (…) che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io (…) mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo (…) non voglio predicare contro la loro volontà” (Fonti Francescane, n. 112). Francesco non avrebbe mai tollerato che si usasse il suo nome per andare contro qualcuno: figurarsi contro il papa.

Antonio, non fraintendermi, non sto dicendo che dovresti essere tu a chiederti se sei o no come San Francesco: ti sto dicendo che io rivolgo spesso – come posso – questa domanda a me stesso. Perché il Francesco povero che nel medioevo va dalla Chiesa ricca e drammaticamente in crisi a chiedere se il suo modo di vivere fosse davvero evangelico e secondo Dio, mi insegna. La sua non è solo umiltà – la differenza con gli eretici – ma è sguardo profondo sul mistero della Chiesa, è capacità di vedere oltre l’apparenza e di cogliere come l’unità sia il vero testamento di Gesù ai suoi. Francesco, quando nel 1220 vede crollare tutti i suoi sogni perché di ritorno dalla terra santa trova i francescani mutati grandemente, reagisce ritirandosi dal governo.

 

Quello è il tempo in cui scrive il racconto della perfetta letizia che è una vera e propria parabola del suo dramma interiore. È lui a sentirsi di troppo: “Siamo tanti e tali che non abbiamo più bisogno di te”. È in quella crisi interiore profondissima che Francesco riceverà le stigmate (1224) e di nuovo il crocifisso parlerà alla sua vita, ma non più come diversi anni prima a San Damiano: parlerà con i segni della croce impressi nella sua carne. E quando sente vicina la morte, riunisce i frati attorno al suo corpo, e si fa leggere Giovanni 13, quello dell’amore fino alla fine, quello del comandamento dell’amore, l’unico per cui saremo riconosciuti tutti discepoli di Gesù. Io non sono Francesco. Chi può accusare gli altri di non esserlo? di Don Mauro Leonardi (Prete e Scrittore) – Fonte: Huffingtonpost.it

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