Splendono i colori del mondo nella Basilica di San Pietro. Un mondo che ha bisogno ancora dell’annuncio di Gesù, della speranza di Cristo, di credere a testimoni veri, pieni dell’amore di Dio, che hanno avuto il coraggio di scommettere su di Lui, fidandosi e lasciandosi portare negli angoli lontani della Terra. Sono suore, religiosi e anche due laici che, al termine dei Vespri, il Papa invia in missione, consegnando loro un crocifisso: l’ancora sicura alla quale aggrapparsi senza paura. Andranno in Brasile, in Sud Sudan, in Repubblica Democratica del Congo, in Kazakistan ma anche in Cambogia, a Taiwan, in Bangladesh e in Kirghizistan.
Aprendo il Mese Missionario Straordinario sul tema: “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”, indetto all’Angelus del 22 ottobre 2017, Francesco, nella memoria di Santa Teresa di Lisieux, patrona delle missioni, chiede “audacia e creatività” per mettere a frutto i talenti che Dio ha donato ad ognuno di noi, beni da non lasciare in cassaforte, perché sono “una chiamata”.
Dio ci domanderà se ci saremo messi in gioco, rischiando, magari perdendoci la faccia. Questo Mese missionario straordinario vuole essere una scossa per provocarci a diventare attivi nel bene. Non notai della fede e guardiani della grazia, ma missionari.
Il Papa ricorda che, sperimentando l’amore di Dio, non si può restare indifferenti, muti, inattivi. Invita a chiedersi, in questo mese, come testimoniamo, quanto ci mettiamo in gioco.
Testimone è la parola-chiave, una parola che ha la stessa radice di senso di martire. E i martiri sono i primi testimoni della fede: non a parole, ma con la vita. Sanno che la fede non è propaganda o proselitismo, è dono di vita. Vivono diffondendo pace e gioia, amando tutti, anche i nemici per amore di Gesù.
Non aver fatto il bene che si può fare significa peccare di omissione. Francesco lo spiega con una serie di esempi semplici, ricorda che chiudersi “in un triste vittimismo” è “contro la missione”; così come quando ci lamentiamo del mondo e della Chiesa, quando siamo “schiavi delle paure “, paralizzati dal “si è sempre fatto così”. “Pecchiamo contro la missione – dice il Papa – quando viviamo la vita come un peso e non come un dono; quando al centro ci siamo noi con le nostre fatiche, non i fratelli e le sorelle che attendono di essere amati”
Chi sta con Gesù sa che si ha quello che si dà, si possiede quello che si dona; e il segreto per possedere la vita è donarla. Vivere di omissioni è rinnegare la nostra vocazione: l’omissione è il contrario della missione.
Così la Chiesa è chiamata ad essere sempre in missione, a rinnovarsi, a guardare avanti nell’amore umile e gratuito. “Se non è in uscita – evidenzia il Papa – non è Chiesa”.
Una Chiesa in uscita, missionaria, è una Chiesa che non perde tempo a piangere le cose che non vanno, i fedeli che non ha più, i valori di un tempo che non ci sono più. Una Chiesa che non cerca oasi protette per stare tranquilla; desidera solo essere sale della terra e lievito per il mondo. Questa Chiesa sa che questa è la sua forza, la stessa di Gesù: non la rilevanza sociale o istituzionale, ma l’amore umile e gratuito.
Francesco per l’ottobre missionario indica tre luminose figure, “tre servi che hanno portato molto frutto”. Santa Teresa di Gesù Bambino “che fece della preghiera il combustibile dell’azione missionaria nel mondo”; San Francesco Saverio, “uno dei grandi missionari della Chiesa”, che chiede di uscire dal proprio guscio e infine la Venerabile Pauline Jaricot, pioniera delle Pontificie Opere Missionarie, che con il suo lavoro di operaia sosteneva le missioni.
E noi, facciamo di ogni giorno un dono per superare la frattura tra Vangelo e vita? Per favore, non viviamo una fede “da sacrestia”.
Nessuno è escluso dalla missione della Chiesa, dice Francesco, bisogna partire per andare dove mancano speranza e dignità, vivere con coraggio e con la certezza, rassicura il Papa, che lo Spirito Santo ha già preparato la strada per l’annuncio perché “troppa gente vive ancora senza la gioia del Vangelo”. “In questo mese il Signore chiama anche te”: dice Francesco regalando parole che profumano di preghiera.
Nella veglia, prima dei Vespri, alcuni religiosi hanno dato testimonianza della loro conversione e della loro missione. La catechista della Mongolia, Rufina ha raccontato come è diventata cattolica e ha parlato dello stupore di vedere nel suo Paese missionari a meno 40 gradi sottozero. “Solo allora – ha spiegato – ho capito che erano animati dalla Buona Notizia, non erano libri ma persone portatori di Gesù”. Don Gbeni ha ricordato come la voce della Chiesa nella Repubblica Centrafricana abbia denunciato tutte le violazioni perpetrate al popolo. Infine la testimonianza di una suora della Papua Nuova Guinea che ha spiegato come solo “il Vangelo fa la sua strada come la vita di fede sia la prima testimonianza del Vangelo, prima via di evangelizzazione”.
Fonte Vatican News – Benedetta Capelli – Città del Vaticano
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