Queste famiglie, così come tutti coloro che chiedono il riconoscimento dello status di rifugiato, attendono non meno di dodici mesi prima che la loro istanza sia esaminata dalle Commissioni territoriali, vivono dunque problemi di emarginazione e di disagio collegati a questa lunga attesa, e spesso rischiano ritorsioni anche in Italia; nonostante le Commissioni siano raddoppiate rispetto a prima dell’emergenza (passando da 20 a 40), il loro numero è comunque insufficiente di fronte a domande che sono diventate 10 volte di più rispetto al recente passato.
Aiuto alla Chiesa che Soffre rivolge un appello alle istituzioni italiane competenti perché il sistema nel suo insieme sia reso più celere, e perché in particolare chi fugge dalla persecuzione religiosa abbia una corsia preferenziale, più rapida e con maggiori garanzie, per il riconoscimento dello status di rifugiato; e quindi perché le Commissioni territoriali siano sollecitate ad un esame veloce e dall’esito positivo, una volta accertate la zona di provenienza e la confessione religiosa di appartenenza: non è necessaria una approfondita istruttoria perché, per es., un cristiano proveniente da Homs in Siria o da Mosul in Iraq ottenga lo status di rifugiato. Senza entrare in questioni che non riguardano la competenza di Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’appello è nello specifico ad un ampliamento del numero delle Commissioni territoriali, alla destinazione mirata di una parte di esse a quanti fuggono dalla persecuzione religiosa, e alla cura che la fede di appartenenza non sia causa implicita di discriminazione anche in Italia.
A cura di Redazione Papaboys fonte: ACS (Aiuto alla Chiesa che soffre)
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