Dal terremoto del 2010 che devastò Haiti, sull’isola vivono 62.600 sfollati in 36 Campi provvisori; il 60% della popolazione vive in condizioni di povertà e 25 mila persone corrono il rischio di contrarre il colera.
Questo il drammatico quadro che si presenta ad Haiti, dove la gente continua a vivere priva di acqua potabile e di accesso ai servizi sanitari dopo il passaggio dell’uragano Matthew che ha devastato l’isola causando almeno 1.000 morti. Nel Paese si registra anche un alto tasso di violenza oltre che una corruzione dilagante che impedisce il normale corso degli interventi da parte delle organizzazioni umanitarie. Da Haiti è appena rientrata una missione di Caritas Internationalis guidata dal segretario Michel Roy. Lo ha intervistato Marie Duhamel per Radio Vaticana:
R. – E’ una situazione disperata. Tre settimane dopo la gente vive ancora senza tetto e piove. La pioggia è forte. Vivere senza un tetto è veramente difficile per loro. Ho visto persone completamente con gli occhi nel vuoto, veramente traumatizzate per ciò che hanno passato. Il venerdì della settimana scorsa le piogge su Les Cayes, che è la città del sud, hanno portato un’inondazione, c’era un metro di acqua nella città. E’ complicato uscire da questa tragedia.
Gli haitiani sono poveri, le loro case sono costruite con materiali deboli ma la maggioranza non vuole andare via nella città, vuole rimanere nei propri villaggi e domandano un aiuto per rifare il tetto e sementi per ricominciare a coltivare dopo aver pulito la terra.
D. – Hanno qualcosa da mangiare o per curarsi, se sono stati feriti o se sono malati?
R. – Tutto è stato distrutto. Hanno bisogno di cibo, sicuramente. E il cibo arriva però non arriva in quantità sufficiente e non è distribuito di una maniera molto professionale. La gente che vive fuori dalla città riceve molto poco, quando riceve. Questa è la priorità per Caritas. Quando c’è una distribuzione la gente corre… c’è molta aggressività per prendere ciò che viene distribuito. Questo manifesta il dolore e la preoccupazione della gente. Il governo non ha preso questa tragedia a livello in cui doveva essere presa. Gran parte delle donazioni sono fatte dai politici e l’aiuto è molto “politicizzato”. Caritas lavora nelle comunità che sono fuori, che dallo Stato non ricevono niente dell’aiuto internazionale ufficiale.
D. – Sono passate tre settimane da quando l’uragano Matthew è passato su Haiti però non parliamo quasi più di Haiti…
R. – Esattamente. Bisogna assolutamente che la comunità internazionale si mobiliti per aiutare la gente ad Haiti. C’è una fatica perché ci sono sempre problemi in questo Paese però la situazione è tale che c’è bisogno di impegnarsi a un livello alto. E’ una tragedia, è una catastrofe più grande, questa. E bisogna che anche noi, la famiglia Caritas, la Chiesa, si mobiliti per portare aiuto di più. C’è bisogno di ricostruire tutto, quasi tutto. E’ molto importante e per questo c’è bisogno di impegno, di soldi.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)