Il presidente del Consiglio Pontificio: “Chiunque abbia una responsabilità non può delegare altri”. Intervista al porporato realizzata da Serena Sartini, uscita sul quotidiano ‘Il Giornale’ edizione on line
Ed ancora: le risposte che la politica deve dare, i ritardi causati dalla burocrazia, definita un «mostro»; la solidarietà dell’Unione Europea. Monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova Evangelizzazione, parla al Giornale a due mesi dall’inizio del contagio in Italia.
Eccellenza, lei è originario di Codogno. Con quali sentimenti ha vissuto questo periodo?
«Il coronavirus è arrivato nelle nostre case in modo inaspettato. Pensavamo fosse relegato a un paese estremamente lontano da noi, invece non solo lo troviamo in casa nostra ma anche in modo massiccio. Viviamo un tempo in cui la cultura, il progresso, la tecnologia, ci fanno sentire quasi onnipotenti e invece siamo sconvolti dal doverci confrontare con la nostra fragilità e debolezza. Penso alla piazza della mia Codogno, punto di incontro delle persone, che adesso è diventata vuota. Come quella di San Pietro, immagini drammatiche che ci mostrano il dramma che stiamo vivendo».
Ci sono delle responsabilità dietro ai tanti morti?
«Questo è il momento della solidarietà. Dobbiamo evitare le strumentalizzazioni. Codogno è la mia città, gli abitanti per indole sono portati a rimboccarsi le maniche. Non siamo persone che aspettano che l’aiuto venga dall’esterno. Siamo molto creativi, siamo gente forte, con una fede solida».
Ma ritardi ce ne sono stati?
«Chi ha la responsabilità, non può delegare altri. Chi ha la responsabilità se la deve assumere. Ovviamente, quando c’è un evento improvviso e che non può essere gestito solamente in prima persona, ma anche con una corresponsabilità che tocca competenze di altri, è possibile che avvengano anche ritardi. Forse dovremmo chiederci piuttosto se non abbiamo creato un mostro di competenze con i relativi passaggi che si chiama burocrazia e che ovviamente impedisce di poter rispondere alle esigenze dei cittadini soprattutto nel momento del bisogno».
Questo è il tempo della misericordia, come ha detto anche il Papa…
«Il Papa ha mandato un messaggio molto forte: se non c’è speranza per tutti, non c’è futuro per nessuno. Questo è il tempo della speranza, che non è guardare intorno e davanti a noi con occhi incerti. La speranza, per noi cristiani, è certezza che usciremo da un momento così convulso, è certezza che non siamo soli, che dobbiamo vivere una forma di solidarietà».
Come vive il Papa questo periodo?
«Con profonda preoccupazione e tristezza. Arrivano sul suo tavolo notizie da tutto il mondo e porta il peso di un evento che non tocca solo l’Italia ma il mondo intero. C’è preoccupazione per quello che sta avvenendo nel mondo. E prova profondo dolore per i tanti sacerdoti morti per coronavirus».
Si pensa alla fase 2. Che risposte deve dare il governo italiano?
«Pensare che debba esserci una risposta solo dall’Italia è limitante. La risposta non deve avvenire solo da un paese. Viviamo in una cultura globalizzata, dove non c’è più nessun paese che vive da solo e che può gestirsi da solo. Tanto meno per un paese come l’Italia che è inserito all’interno della Comunità europea. L’Italia dovrà corrispondere con tutti i modi possibili dando spazio anche alla creatività, ma non può farlo da sola. Questo è il momento di una solidarietà internazionale che deve essere al primo posto nell’obiettivo di quanti hanno una responsabilità politica».
di Serena Sartini per Il Giornale. Articolo originale clicca qui
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