È stato un kalashnikov Ak-47 a siglare simbolicamente l’importante accordo tra il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo egiziano Abdel Fattah al Sisi durante il loro incontro oggi al Cairo. I due governi hanno infatti firmato per costruire la prima centrale nucleare in Egitto. Anche se i portavoce hanno precisato che si tratta di un progetto finalizzato alla produzione di elettricità nella regione di Dabaa, nel nord dell’Egitto, vista la delicata congiuntura internazionale, la firma assume un peso politico tutto diverso da quello di un tattico accordo commerciale.
PROVE DI GUERRA
Non si placano nel frattempo i combattimenti nell’est dell’Ucraina alla vigilia dell’atteso vertice a quattro a Minsk tra Vladimir Putin, Francois Hollande, Angela Merkel e Petro Poroshenko. I ribelli filo-russi avrebbero lanciato una nuova offensiva contro Kramatorsk, città saldamente nelle mani dell’esercito ucraino, uccidendo almeno sei civili e ferendone altri 21, stando a fonti locali. Poroshenko in persona ha denunciato che i separatisti hanno attaccato con lanci di razzi il quartier generale dell’esercito e una vicina area residenziale. I ribelli hanno negato di aver sferrato un attacco. Nel sud della Russia, sono iniziate esercitazioni militari su vasta scala che vedono impegnati 2mila soldati, tra unità speciali e intelligence militare. Oltre 200 i mezzi coinvolti, in sette diversi poligoni. Le esercitazioni andranno avanti per un mese.
I RAZZI SULLA CITTA’ UCRAINA
PUTIN-OBAMA A MUSO DURO
Il presidente russo, Vladimir Putin, ha assicurato che la Russia «continuerà la sua politica estera indipendentemente dalle pressioni», una chiara risposta alla denuncia di Barack Obama secondo cui Mosca «continua a viola egli impegni» i Ucraina. Un clima infuocato nelle ore in cui a Minsk dovrebbe riunirsi il Gruppo di contatto sull’Ucraina (con i rappresentanti di Mosca, Kiev, dei ribelli e dell’Osce) per preparare il vertice di domani nella capitale bielorussa con Putin, Poroshenko e il collega francese Hollande e il cancelliere tedesco Angela Merkel. Dal summit la comunità internazionale si aspetta una nuova tregua, prima che si aprano scenari tutt’altro che tranquillizzanti: nuove sanzioni a Mosca e fornitura di armi difensive da parte degli Usa a Kiev. Una ipotesi, quest’ultima che non è tramontata, nonostante il “no” dell’Ue, dopo l’incontro di lunedì tra Obama e Merkel.
LA PARTITA DIPLOMATICA
Il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev, ha avvertito che forniture di armi comporterebbero «un’ulteriore escalation del conflitto» in Ucraina. mentre il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha assicurato che Mosca vuole contribuire a una «soluzione politica», attraverso «un dialogo diretto» tra Kiev e i rappresentanti delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk. Nuove sanzioni e l’invio di armi «destabilizzeranno ulteriormente la situazione», ha fatto però il Cremlino. L’ufficio stampa del Vaticano ha intanto voluto precisare che Papa Francesco «ha sempre inteso rivolgersi a tutte le parti interessate», in seguito alle diverse interpretazioni che sono state date alle parole del Pontefice, dopo l’udienza generale di mercoledì scorso.
L’ACCORDO PER LA PRIMA CENTRALE NUCLEARE IN EGITTO
I governi di Mosca e del Cairo hanno siglato un accordo preliminare per costruire la prima centrale nucleare in Egitto. Lo ha annunciato il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, nel corso di una conferenza stampa con il suo omologo russo Vladimir Putin. «I due paesi hanno firmato un protocollo d’intesa per la costruzione di una centrale nucleare per la produzione di elettricità nella regione di Dabaa», nel nord dell’Egitto, ha dichiarato al-Sisi.
LA TELEFONATA IN FORMATO «NORMANDIA»
Dopo una «lunga ed esaustiva» telefonata nel “formato Normandia”, Putin, Poroshenko, Merkel e Hollande hanno deciso di incontrarsi l’11 febbraio a Minsk. Ma solo «se entro quella data si riuscirà a concordare su un certo numero di punti sui quali abbiamo discusso intensamente negli ultimi tempi», ha ammonito il leader del Cremlino da Sochi, dove ha incontrato Aleksandr Lukashenko. «Faremo del nostro meglio per organizzare il summit con l’obiettivo di ottenere la pace “nella nostra casa comune”», gli ha fatto eco il presidente bielorusso, “l’ultimo dittatore d’Europa” secondo l’amministrazione Usa, che sta tentando di recuperare credibilità agli occhi europei trasformando Minsk nel palcoscenico dei negoziati, finora falliti.
VERSO NUOVO ACCORDO A MINSK
Ma è proprio dagli accordi di Minsk dello scorso settembre che si intende ripartire, anche se il rischio resta quello di un conflitto congelato, modello Transnistria o Abkazia: come ha annunciato la cancelleria tedesca, «si continua a lavorare ad un pacchetto di misure nel quadro degli sforzi per una soluzione globale del conflitto nell’est dell’Ucraina». Gli sherpa sono i vice ministri degli Esteri dei quattro Paesi, che si ritroveranno domani a Berlino. Prima di mercoledì, come ha precisato il Cremlino, è prevista anche una riunione del cosiddetto gruppo di contatto, formato da rappresentanti di Mosca, Kiev, Osce e separatisti filorussi, «per preparare le condizioni e i temi sostanziali» del vertice.
I PUNTI SUL TAVOLO
Tra i punti più discussi, la definizione della linea del fronte dopo gli avanzamenti dei ribelli, la distanza di arretramento delle armi pesanti, il controllo della tregua e dei confini russo-ucraini (attraverso cui entrano mezzi e militari russi, secondo l’Occidente), lo status delle aree controllate dai ribelli. Questa volta, comunque, sarebbe fissato un timing dei vari passi da fare.
SEGNALI DI DISTENSIONE
Segnali di ottimismo arrivano da Kiev: Poroshenko ammette «progressi» nella conferenza telefonica a quattro e spera che i colloqui a Minsk portino ad un «rapido e incondizionato cessate il fuoco». Anche il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, si aspetta «decisioni importanti». Ma a Monaco mette in guardia John Kerry sul rischio di «conseguenze imprevedibili» in caso di forniture belliche americane a Kiev, avversate da gran parte dei Paesi europei, a partire dalla Germania, per il timore di gettare altra benzina sul fuoco.
WASHINGTON FRENA SULLE ARMI A KIEV
Il segretario di Stato Usa John Kerry frena: «Vi assicuro che non ci sono divisioni, noi siamo uniti, siamo uniti nella diplomazia e lavoriamo insieme, tutti d’accordo sul fatto che non possa esserci una soluzione militare». Le divisioni, invece, ci sono, eccome: tra i principali Paesi europei (Italia compresa) e Washington, e pure all’interno della Casa Bianca, incalzata non solo dal senatore repubblicano John McCain ma anche da interessi più trasversali.
INFOGRAFICA – LO SCACCHIERE DELL’EST
MOGHERINI IN CAMPO
In ogni caso Hollande, artefice con la Merkel della nuova mediazione europea, è stato chiaro: se fallisse il nuovo piano di pace, l’unico scenario sarebbe la guerra. E l’ipotesi di armi letali Usa a Kiev diventerebbe più probabile, mentre per la Ue «sarà inevitabile un ulteriore rafforzamento delle sanzioni, che pure l’Italia non vuole», come ha avvisato il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni, auspicando che la Russia «ci venga incontro» nel negoziato. Certo, il summit di Minsk è «un’ottima chance» ma, come ha precisato il capo della diplomazia Ue Federica Mogherini, «è troppo presto per cantare vittoria». Quando qualche senatore Usa l’ha attaccata spingendo per i rifornimenti militari a Kiev, la cancelliera è sbottata: «Il problema è che io non riesco a immaginare che con truppe rafforzate, in Ucraina, Putin possa essere così impressionato da ritenere di perdere. Lo dico francamente. Questo conflitto non si vince militarmente».
GENTILONI: «PRONTI A NUOVE SANZIONI»
«Non ci dobbiamo assolutamente rassegnare all’idea che la strada del dialogo sia finita. Ma se non otteniamo risultati sarà inevitabile un ulteriore rafforzamento delle sanzioni, che pure l’Italia non vuole», dice il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a «In mezz’ora» su Raitre. E aggiunge: «L’unica strada per la soluzione» del conflitto in Ucraina orientale è quella del «negoziato», ma la «Russia ci deve venire incontro».
UNA SETTIMANA CLOU
Quella che inizia, comunque, si annuncia come una settimana decisiva per la crisi ucraina, quasi un countdown verso la guerra o la pace: domani, mentre i ministri degli Esteri europei si riuniranno a Bruxelles, la Merkel – vera protagonista della nuova mediazione e di un inedito protagonismo tedesco in politica estera – volerà da Obama cercando di allontanare l’opzione militare su cui il presidente Usa deve decidere a breve. Mercoledì invece l’atteso summit di Minsk, alla vigilia del vertice Ue che potrebbe decidere nuove sanzioni. Tutto dipende dal nuovo piano di pace, un lavoro di acrobazia diplomatica per dare garanzie a Putin – sull’autonomia del sud-est ucraino anche come grimaldello contro l’ingresso dell’Ucraina nella Nato – e salvare la faccia a Poroshenko, che rischia le reazioni casalinghe del `partito della guerra´.
I PASSAPORTI COME PROVA
La Russia, intanto, ha chiesto all’Ucraina una copia dei passaporti dei soldati russi mostrati ieri dal presidente Petro Poroshenko come prova dell’aggressione di Mosca nelle regioni orientali ucraine. Il colpo di teatro ieri a Monaco. Il presidente ucraino ha accusato il Cremlino sventagliando a un certo punto del suo intervento una mezza dozzina di passaporti. «Di quali prove avete ancora bisogno?», ha quasi gridato, sostenendo si tratti di passaporti di militari russi che si erano «persi».
SUL CAMPO
La situazione sul campo resta tesa. Mosca ha inviato oggi l’ennesimo convoglio di aiuti umanitari alle popolazioni del Donbass, dilaniato dalla guerra tra Kiev e i separatisti filorussi. Si tratta di 170 camion con oltre 1800 tonnellate tra cibo, medicinali, materiali da costruzioni ed altri generi di prima necessità.
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A cura di Redazione Papaboys fonte: La Stampa
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