R. – E’ un progetto che già in passato, a metà degli anni Duemila, le autorità saudite avevano sviluppato per proteggersi proprio dall’instabilità irachena, che in questa fase storica sta di nuovo minacciando la sicurezza dell’Arabia Saudita: abbiamo visto alcune settimane fa un attentato, molto probabilmente dello Stato Islamico iracheno, contro le forze di frontiera dell’Arabia Saudita… Quindi è una barriera protettiva per proteggersi da questa possibile minaccia terroristica.
D. – Questo sarebbe il secondo muro, perché ce ne è già uno – nel sud – al confine con lo Yemen, che doveva servire, appunto, a difendersi dal terrorismo di al-Qaeda…
R. – Sì. Per la sicurezza saudita la costruzione di muri di confine – tra virgolette – verso quei Paesi che più sono instabili e che più rappresentano una minaccia è un leitmotiv, anche perché il territorio saudita è molto difficile da controllare, essendo per la stragrande maggioranza desertico e quindi con pochissimi punti di riferimento. Nella mentalità della leadership saudita la costruzione di un muro di protezione è uno dei possibili mezzi per proteggersi.
D. – Ma questi muri non rischiano di isolare un Paese che ospita due dei più importanti luoghi sacri dell’islam, Mecca e Medina?
R. – Assolutamente sì! Anche se la costruzione di muri di confine di solito è anche l’esempio di una certa “mentalità politica” di una leadership – quella saudita – che di fatto, di per sé, già in partenza non è molto aperta verso l’esterno. Certo è che una barriera protettiva sia nei confronti dell’Iraq, sia nei confronti dello Yemen non toglie all’Arabia Saudita il proprio ruolo centrale sia dal punto di vista politico che dal punto di vista religioso, soprattutto per quanto riguarda la presenza dei due maggiori luoghi sacri per l’islam, come Mecca e Medina. Inoltre negli ultimi anni con l’ascesa politica – da una parte – del Qatar e – dall’altra parte – degli Emirati Arabi, anche il ruolo dell’Arabia Saudita ha subito dei cambiamenti, delle modifiche: è qui la capacità della leadership saudita di trovare nuovi equilibri. Certo è che la leadership saudita non è famosa per il proprio riformismo, ma bensì per la propria staticità.
D. – L’Arabia Saudita sarebbe sospettata di aver finanziato, in origine, quei miliziani che ora rappresentano il cosiddetto Stato Islamico. Questo muro, adesso, serve proprio a difendersi da loro?
R. – Io ho un po’ di dubbi per quanto riguarda il discorso del finanziamento saudita allo Stato Islamico; maggiori certezze ci potrebbero essere per quanto riguarda il supporto saudita ad altri gruppi dell’insorgenza siriana, dell’opposizione siriana ad Assad, che in alcuni casi hanno anche combattuto lo Stato Islamico. Anche perché se vogliamo poi sottolineare una diversificazione tra l’Arabia Saudita e lo Stato Islamico, nonostante vi sia una – per alcuni versi – similare concezione dell’islam per quanto riguarda l’aspetto più conservatore, sta di fatto che il salafismo dello Stato Islamico è comunque in contrasto rispetto al wahabismo, su cui si fonda l’Arabia Saudita, anche per una lotta interna a chi è più conservatore.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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