Lo conferma uno studio effettuato dall’Organizzazione internazionale del lavoro. I profitti che generano i lavoratori sfruttati sono pari a 110 miliardi di euro l’anno. Due terzi dei guadagni provengono dall’industria del sesso, seguita dal lavoro domestico, dall’agricoltura e dall’edilizia. In Asia vivono 11 milioni di “nuovi schiavi”, costretti a lavorare per la crescita economica della regione nell’industria del sesso, nelle case dei ricchi e nell’agricoltura. Lo denuncia in un Rapporto l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo): il testo spiega che il “lavoro forzato”,
che costringe nel mondo 21 milioni di persone, genera profitti illeciti per almeno 110 miliardi di euro l’anno. I profitti sono di gran lunga superiori rispetto alle stime precedenti, e l’Ilo chiede ai governi di affrontare il problema. Del numero totale dei
“nuovi schiavi”, oltre la metà si trova in Asia; il 18% in Africa e quasi il 10% in America Latina.
“Questo nuovo Rapporto – dice il direttore generale Ilo Guy Ryder –
porta ad un livello maggiore la nostra attenzione per il lavoro forzato e la schiavitù moderna”. Inoltre, l’Ilo ha constatato che i lavoratori non percepiscono nulla sui profitti illeciti, e che su questi guadagni non è stata pagata nessuna tassa fiscale. L’Organizzazione sottolinea che due terzi dei guadagni provengono dall’industria del sesso; a seguire si trovano il lavoro domestico, l’agricoltura e l’edilizia. Ma ammette che il lavoro forzato è molto difficile da combattere perché è controllato da reti di criminalità organizzata. La ripartizione degli
“utili” è così suddivisa: 72 miliardi di euro vengono dallo sfruttamento sessuale commerciale; 25 miliardi di euro dal settore costruzioni, manifatturiero, minerario e utilities; 7 miliardi di euro dall’agricoltura, inclusa la silvicoltura e la pesca e infine 6 miliardi di euro per le abitazioni private e per i lavoratori domestici sottopagati o non pagati.
a cura di Ornella Felici