Asia Bibi, madre di due bambini, operaia agricola, ha avuto la prima sentenza di condanna a morte da un tribunale del Punjab nel novembre del 2010. Giudicata colpevole di blasfemia, commessa di fronte ad alcuni colleghi di lavoro in una discussione molto animata, avvenuta nel giugno 2009 a Ittanwali. Alcune delle donne che lavoravano con lei cercarono di convincerla a rinunciare al cristianesimo e a convertirsi all’Islam. Durante la discussione, Bibi ha risposto parlando di come Gesù sia morto sulla croce per i peccati dell’umanità, chiedendo alle altre donne che cosa avesse fatto Maometto per loro. Asia Bibi venne picchiata, chiusa in uno stanzino, stuprata e infine arrestata. L’organizzazione caritativa che sostiene i cristiani perseguitati affermò che su pressione dei leader musulmani locali è stata sporta denuncia per blasfemia contro la donna.
In Pakistan le leggi sulla blasfemia sono state introdotte nel 1982 e nel 1986, con l’intento di proteggere l’Islam e la sensibilità religiosa della maggioranza musulmana. Formulate in termini vaghi sono applicate arbitrariamente da parte della polizia e della magistratura tanto da equivalere a minacce e persecuzioni delle minoranze religiose e dei musulmani stessi. In particolare, secondo la sezione 295 del Codice Penale pachistano:
“Chi con parole, sia pronunciate che scritte, o con rappresentazione visibile, o con qualsiasi imputazione, alludendo o insinuando, direttamente o indirettamente, contamina il sacro nome del profeta Maometto (pace su di lui) è punito con la morte o il carcere a vita, ed è altresì suscettibile di multa”.
In Occidente parliamo moltissimo di diritti umani. Quale tematica migliore per mostrare il proprio background culturale date le numerose correnti di pensiero e i contrastanti approcci in materia. Costantemente divisi tra universalismo e particolarismo oppure tra relativismo culturale e etnocentrismo.
Mentre continuiamo con le nostre disquisizioni accademiche a studiare la storia dei diritti umani, a criticare l’assolutismo della Carta dei diritti dell’uomo del 1948 e a indire seminari e corsi di specializzazione, le più banali peculiarità dell’uomo vengono violate e umiliate sotto i nostri occhi sempre più indifferenti.
Il caso di Asia Bibi non lascia alcun margine di discrezionalità sulla gravissima violazione dei diritti umani in atto e su un intollerabile stupro della dignità umana. Vengono palesemente violate quelle che Mahmoud Mohamed Taha ha definito “due forze primarie” che motivano tutti i comportamenti umani e sulle quali si basano i diritti universali dell’uomo: la libertà di vivere e di essere liberi.
Occorre riconoscere che, oggi, in una fase di crescente tensione fra l’Islam e il mondo occidentale, e di rinascita di un orgoglio civile che investe l’intera umma islamica, molto difficilmente le masse musulmane e i loro leader religiosi rinnegheranno ex abrupto la funzione normativa che la Sharia ha esercitato per secoli, in stretta connessione con il Corano e la Sunna. E’ chiaro che, per diritti umani, i fedeli musulmani continueranno a intendere le facoltà attribuite loro dai testi sacri come membri della umma. Nonostante che taluni documenti riguardanti i diritti umani siano stati approvati negli ultimi decenni da autorità politiche alla guida dei paesi arabo-islamici, è improbabile che, oggi, le classi politiche islamiche si impegnino a dar vita a Bills of Rights costituzionali.
Rebus sic stantibus è illusorio attendersi da parte degli Stati islamici l’emanazione di Carte costituzionali che prescindano da un immediato riferimento ai testi sacri, Sharia compresa, e che presentino il profilo di elaborazioni teoriche secolarizzate in conformità a rivendicazioni collettive. Ed è altrettanto chiaro che la nozione di “Stato islamico” non potrà avere altro senso se non quello di un regime politico che dichiarerà, in tutte le circostanze e gli ambiti possibili, la sua assoluta fedeltà al diritto islamico, secondo i principi della giustizia sharaitica tradizionale. Questo “Stato islamico” sarà molto restio a trasformarsi effettivamente in uno Stato di diritto o Stato costituzionale, secondo il modello europeo o nordamericano della divisione dei poteri, delle costituzioni rigide e del controllo giurisdizionale della costituzionalità degli atti legislativi.
Nonostante molti musulmani contemporanei contestino in privato la soppressione che la Sharia compie della libertà di fede e della libertà di espressione, solo pochi rendono note le proprie opinioni in pubblico, nel timore di essere stigmatizzati come apostati o come complici. Altri musulmani troverebbero difficile ammettere i loro dissensi, persino di fronte a se stessi, per il timore di perdere così la propria fede. Finché il diritto pubblico sharaitico continuerà ad essere considerato come la sola valida versione del diritto islamico, molti musulmani saranno del tutto restii a criticare qualsiasi principio o regola della Sharia o ad opporsi alle sue applicazioni pratiche, per quanto ingiuste essi lo possano ritenere.
Sebbene tali questioni riguardino principalmente i paesi arabo-islamici, tutta l’umanità dovrebbe esserne interessata poiché incidono sui diritti umani e sulle libertà fondamentali. Per converso, i popoli dei paesi musulmani dovrebbero essere interessati alle analoghe problematiche che riguardano i paesi non musulmani. L’umanità intera non può continuare a negare di essere responsabile del destino di tutti gli uomini del mondo. Questa è la gloriosa conquista del moderno movimento internazionale a favore dei diritti umani. Tutti i popoli del mondo sono tenuti ad assistere i musulmani nei loro momenti difficili e ad accettare che i musulmani soccorrano i non musulmani che si trovano in difficoltà. Per essere efficaci, questi sforzi di assistenza reciproca devono essere intrapresi con delicatezza e buona volontà.
In tale contesto, non rimane che pregare per Asia Bibi e la sua famiglia, vittime di tanta assurdità; forse è inutile illuminare con la ragione le oscure e torbide vie dell’irrazionale. di Severis
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