Perché Veronica Panarello – la mamma condannata a 30 anni – non è il mostro di Firenze, non è Totò Riina, è quella come te. È una di noi. Il mio smartphone è intasato di link di gente che vuole spiegarmi i motivi psicologici e sociologici per cui è accaduto quello che è accaduto: ma sono convinto sia solo un modo per allontanarla da noi, per dire che lei è diversa da noi. Ma non è vero. Altrimenti non avrebbe senso una simile condanna: il fatto è che la somiglianza con lei – che è il motivo per cui tutti empatizziamo con la vicenda – è una verità terribile e durissima da raccontarsi.
Dai tempi di Caino e Abele, è davvero difficile dire a se stessi che ciascuno di noi può essere entrambi sia Caino che Abele: e non avviene per un destino cieco, non come esito finale di un’arancia meccanica, ma perché ciascuno di noi è libero e può decidere di essere entrambi.
Il buco dentro ce l’avevano sia Caino che Abele. E lo chiamo buco apposta perché il problema del male è che lì, in quel posto del cuore dove doveva esserci del bene, in quell’angolo dove diciamo che c’è il male, il bene non c’è. Non è che c’è un bene “altro” che chissà come va difeso. C’è un buco di bene. E questo buco – e più di uno – ce l’abbiamo tutti.
Lo so che fa l’effetto di camminare su un ghiacciaio senza sapere se sotto c’è il crepaccio, ma è la vita. Il mostro di Londra e il mafioso incallito avevano da tempo affilato le loro armi nell’ombra, invece Veronica ha detto “Buon giorno dottore” davanti all’ascensore, e poi ha ucciso. E dopo aver ucciso è andata a un’altra cosa normale e ha detto “Buona sera dottore”.
Chi sostiene che con quei precedenti si doveva capire chi era davvero la madre di Loris perché la cosa “veniva da lontano”, ha solo paura di guardare alla libertà che ciascuno di noi ha. D’altra parte, ripeto, se Veronica Panarello non fosse stata libera non avrebbe potuto prendere 30 anni.
Guardo questa donna e il dolore del marito e le foto del bambino, il pianto del suocero, le pacate parole dell’avvocato di famiglia. Si vorrebbero gli assassini brutti come mostri, da riconoscere a vista. Si vorrebbero i cattivi fuori dalla porta di casa nostra, da tenere lontani.
Si vorrebbero i mostri lontani dalla nostra vita e da quella dei nostri cari, lontani e diversi da noi.
E invece tutto questo è vicinissimo, porta il nostro cognome e a volte il nostro nome.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost
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