Bruna Zarini è una ballerina che ha creato una didattica per le persone cieche. Il suo motto è: “Il tango ha la capacità di stimolare sia la sfera sensoriale che quella emotiva”. La sua esperienza è al centro di “Tango al buio”, da poco arrivato in libreria
Guardare con le mani, insegnare con il corpo e con le parole. Sono questi i cardini su cui è imperniato il corso di tango per ciechi ideato e condotto da Bruna Zarini, ballerina di tango argentino e insegnante. La sua decisione di intraprendere questo percorso è stata determinata da una serie di “strane” coincidenze: due telefonate a distanza di pochi giorni di aspiranti ballerini non vedenti, il racconto di una sua amica che, durante un viaggio, aveva ballato il tango con un cieco, l’incontro “casuale” con l’Unione italiana ciechi. Una sorta di chiamata. “Sì, è stato proprio così – ricorda – . Dopo tanti anni di insegnamento avevo perso lo stimolo, ero annoiata. Cercavo qualcosa di più forte e di più coinvolgente. E il tango al buio è stata la risposta”.
“Tango al buio” è il titolo del libro che Bruna ha scritto dopo l’esperienza “estrema”, come la definisce, del corso che si è svolto dal 2009 al 2012 a Bologna. Un’iniziativa nata per caso ma in cui non c’è stato niente di improvvisato. Piuttosto, uno studio attento e rigoroso degli aspetti nascosti e sconosciuti di un insegnamento che, tradizionalmente, è caratterizzato dal guardare e dall’imitare e che ora, invece, si sarebbe basato sul tatto e sull’ascolto. La sua storia è raccontata nel numero di dicembre 2017-gennaio 2018 del magazine Superabile Inail
.“All’inizio mi sembrava un’impresa impossibile. Come avrei fatto a insegnare il tango a persone che non potevano osservare la postura del corpo, la posizione dei piedi, un passo, una figura? Come avrebbero fatto gli allievi a orientarsi nello spazio e a camminare abbracciati sul ritmo della musica senza incidenti e mantenendo la direzione? Erano domande a cui non riuscivo a dare una risposta. Ma, dentro di me, sentivo germinare il seme della sfida, dell’entusiasmo, dello scardinamento delle convinzioni più granitiche”, ricorda la ballerina e insegnante, chiarendo: “Ho pensato che il tango è permeato non solo di vibrazioni interiori e di sentimenti ma anche di sensazioni tattili, e ho spostato tutto dall’aspetto visivo a quello sensoriale”.
Un percorso complesso di ricerca e sperimentazione, lento e delicato, a stretto contatto con il mondo dei ciechi. Prima di iniziare il vero e proprio laboratorio, infatti, Bruna Zarini e Gaby Mann, l’amica che aveva ballato con un ballerino cieco in Canada, stilista di abiti da tango e fotografa, fanno il loro apprendistato con chi quel mondo lo conosce bene. Le aiuta un musicista di tango cieco, Massimo Tagliata, che dà loro due consigli: “Ciò che non si può vedere può essere toccato” e “ciò che non si può vedere e necessita di essere visto ha bisogno di essere descritto con chiarezza lessicale e un buon tono di voce”. Anche l’allora presidente dell’Unione italiana ciechi di Bologna, Egidio Sosio, diventa da subito un loro sostenitore. “Il professor Sosio ci spiegò che per i ciechi è difficile uscire da un mondo di tante piccole sicurezze quotidiane, dove ogni novità comporta una messa in discussione del sé. Il tango, secondo lui, sarebbe potuto essere una bella occasione di apprendimento e un’ottima esperienza di socializzazione”.
Galvanizzate dal sostegno partecipe dei loro mentori, dopo mesi di preparativi e di prove con allievi bendati, Bruna e Gaby lanciano il primo corso di tango per non vedenti in Italia per perfezionare il metodo. Il 19 febbraio 2009, nella classe formata da sette ciechi, cinque maschi e due femmine, più altrettanti assistenti ballerini, l’emozione era palpabile. “Mi rendevo conto che dovevo trasmettere con il corpo e con le parole ciò che ero abituata a far vedere – riferisce l’insegnante – . Chiedevo loro di scorrere le mani sul mio corpo per capire la postura e la posizione di un determinato passo. Un modo che amplifica la tattilità e che non di rado crea imbarazzi. Io stessa mi sono trovata ad abbattere non pochi muri nei confronti di chi ha un pudore intimo, una sorta di timore nel toccare l’altro e farsi toccare”.
Un imbarazzo empaticamente percepito da chi, dall’altra parte, cercava di imparare. Come Claudio, oggi 47enne, diventato cieco a 32 anni per un incidente sul lavoro. Si trovava a Bologna per frequentare un corso di centralinisti all’Istituto per ciechi e quando venne a sapere del laboratorio di tango, andò alla lezione introduttiva, anche se, visto che lo stage stava terminando, era in procinto di tornare a Narni, la sua città in provincia di Terni. Ma rimase folgorato e, insieme a Bruna, trovò la soluzione per partecipare: nei fine settimana giocava a Bologna nel torneo di baseball per ciechi, con la squadra di cui è il presidente, e il corso venne fissato, appositamente per lui, il sabato pomeriggio.
“Dopo aver ascoltato le spiegazioni, per metterle in pratica avevo bisogno di guardarle con le mani – spiega Claudio -. Toccavo le braccia delle insegnanti, le gambe e la punta delle scarpe, mentre si muovevano. Le persone più in difficoltà erano loro. Farsi mettere le mani addosso non è semplice”. Gli ostacoli vennero superati di lezione in lezione, con continui aggiustamenti, e gli allievi dimostrarono tali abilità nell’apprendimento che, dopo soli tre mesi dall’inizio del corso, il 30 maggio, arrivarono a esibirsi in pubblico a Verona, in occasione dell’evento “La grande sfida”, una manifestazione internazionale su “Handicap & sport”. “Un’esperienza toccante, profonda, indimenticabile”, la definisce Claudio. “Un’esibizione ricca di pathos e di divertimento”, racconta Bruna Zarini. “Alla fine, ci siamo allineati davanti alla platea tenendoci tutti per mano, come veri artisti. Il pubblico ci ha regalato un lungo applauso e noi ci siamo abbracciati con gratitudine. Il muro era stato abbattuto. Avevamo vinto la sfida”.
Nel 2012 Bruna Zarini si è trasferita a Rodi, in Grecia, dove continua a insegnare e a trasmettere la cultura e l’arte del tango.
Fonte: Redattore Sociale
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