Sono la parte più indifesa dell’umanità, ma sempre più spesso vengono trasformati dalla crudeltà altrui nei soldati delle guerre contemporanee: sono oltre 250 mila i bambini e le bambine arruolati a forza o indottrinati, resi schiavi, impiegati come spie o combattenti. Ne è stata denunciata la presenza – tra l’altro – in Iraq, Siria, Somalia, Sud Sudan, Afghanistan e Mali. Costretti loro malgrado a sparare e a uccidere, i bambini-soldato vengono privati dei loro diritti più fondamentali, innanzitutto quelli a vivere un’infanzia serena e a ricevere un’istruzione adeguata. E spesso la fine del conflitto non significa la liberazione. Sia i giovani combattenti che i territori dove hanno agito portano a lungo l’impronta della guerra. Ne è testimone mons. Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira, in nord Uganda, che ha visto la sua diocesi attraversata dai giovanissimi miliziani del Lord’s Resistance Army:
R. – Il problema è quello delle ferite profonde che sono dentro, del trauma di una società che ha respirato violenza per anni e anni. Siamo in un periodo di ricostruzione che non è soltanto materiale, di strutture e di ripresa economica, ma si tratta soprattutto di una ricostruzione – direi – psicologica e morale. E’ in questo che l’opera della Chiesa è ancora più urgente che mai, anche dopo la fine della guerra.
E il vescovo sottolinea anche quale può essere il contributo delle comunità religiose alla vita di ragazzi e ragazze reduci dalla guerra e spesso respinti, per paura, dai loro stessi vicini:
R. – Incoraggiare ad accogliere questi ragazzi, a non vederli solo come un problema, ma come una occasione proprio di esercitare la carità cristiana, di aiutarli a reinserirsi, perché loro stessi sono le prime vittime di tutta questa tragedia.
Malgrado le ferite fisiche e psicologiche c’è però anche chi riesce a lasciarsi alle spalle il mondo della guerra e ad imboccare una strada diversa. Ancora mons. Franzelli:
R. – So di alcuni che, pur portandosi dentro ancora queste ferite, stanno cercando di ricostruirsi una loro vita. Io ricordo con piacere Kathrine, l’ultima delle ragazze che è stata liberata di quelle che erano state rapite e che sono rimaste nel bosco per anni e anni… Era tornata con il suo bambino ed era come persa, smarrita: l’anno scorso ho avuto la gioia di ritrovarla in una scuola superiore di Kampala, dove è stata mandata e dove si preparava a superare gli esami precedenti all’università.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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