Cinque mesi dopo l’ultimo colpo sferrato in quel di Sabrata, i caccia statunitensi tornano dunque nei cieli libici per colpire obiettivi nella città che fu la tomba di Gheddafi ed è ora la testa di ponte di Daesh nel cuore del Mediterraneo. È un’apertura di “gioco” sollecitata da Tripoli, condotta per mano americana e che prelude al pieno e progressivo coinvolgimento militare dell’intera coalizione di cui il nostro paese fa parte.
A bombe sganciate, le notizie, del resto, sono due.
La prima. Che lo strike, per dirla con le parole di Peter Cook, portavoce del Pentagono, confermate ieri sera da fonti della nostra Difesa, “è solo l’inizio” di una campagna aerea “dagli obiettivi selezionati ” che potrebbe durare giorni o settimane. Che il numero e l’intensità delle prossime incursioni avranno quale loro unica variabile il significativo “prosciugamento” della sacca di resistenza che le milizie di Daesh (“Intorno ai mille effettivi. Diciamo diverse centinaia di uomini”, secondo le stime del Dipartimento della Difesa Usa) oppongono da settimane all’esercito regolare libico che stringe d’assedio la città. E che, dal maggio scorso, hanno imposto un significativo prezzo di sangue (350 morti e 2.000 feriti).
La seconda. Che se è vero che ieri il nostro paese non è stato coinvolto né logisticamente, né militarmente nel raid, dal momento che gli aerei americani non si sono alzati da basi sul nostro territorio, né è stato chiesto un appoggio aereo della nostra aviazione, questa, di qui in avanti non sarà la regola. Ma l’eccezione. Perché, come spiegano fonti del nostro Governo, “la prossima volta la richiesta di Tripoli potrebbe essere fatta direttamente all’Italia ovvero l’Italia potrebbe essere chiamata a svolgere un ruolo” . La prossima volta, insomma, i caccia potrebbero levarsi in volo non dal ponte di una portaerei della Us Navy, come accaduto ieri, ma dalle piste di Sigonella o di Aviano. Se necessario anche con il coinvolgimento operativo dei nostri aerei.
Perché questo prevedono gli accordi che il nostro paese ha stretto in sede internazionale e perché quello del “sostegno militare” su richiesta del Governo del premier Serraj è il format di legittimità internazionale per il quale il nostro paese si è speso nei mesi infernali che hanno preceduto la formazione del Governo di unità nazionale libico e in base al quale sono stati faticosamente definiti il perimetro e le modalità di “ingaggio” militare della coalizione che ha deciso di sostenerlo.
Redazione Papaboys (Fonte www.repubblica.it)